Bignami sulla guerra. Vi spieghiamo in breve quali sono le radici e cosa sta succedendo in Israele e Palestina. Perché questi due popoli si odiano così tanto? Perché nel cuore del complesso conflitto israelo-palestinese si cela una questione apparentemente semplice: due popoli, gli israeliani e i palestinesi, rivendicano lo stesso territorio. Per gli israeliani, la Palestina rappresenta il luogo di nascita del popolo ebraico, e quindi ritengono di avere il diritto di controllarla. Dall’altra parte, i palestinesi sostengono di essere stati cacciati con la forza dagli israeliani, poiché abitavano il territorio prima di loro.
Origini del conflitto: la nascita di Israele e la tensione etnica
Semplificando, l’origine di questa tensione può essere ricondotta alla creazione dello Stato di Israele nel 1947 all’interno del territorio palestinese. Che all’epoca era abitato principalmente da popolazioni arabe musulmane. La coesistenza tra queste due etnie era già tesa durante il periodo del dominio ottomano alla fine del XIX secolo, quando la Palestina faceva parte dell’Impero turco.
L’ascesa del Sionismo e le migrazioni ebraiche
A fine XIX secolo, in un’Europa segnata dal nazionalismo e dall’antisemitismo, il movimento sionista cominciò a prendere piede. Questo movimento aspirava a creare uno Stato ebraico nella cosiddetta “Terra di Israele”, offrendo così una patria a tutti gli ebrei sparsi nel mondo. Le migrazioni ebraiche verso la Palestina, motivate principalmente da ragioni religiose, divennero più intense a partire dal 1882. Portando migliaia di ebrei a stabilirsi nella regione.
Dichiarazione Balfour e l’intervento delle Nazioni Unite
Nel 1897, Theodor Herzl fondò l’Organizzazione Sionista Mondiale, incoraggiando l’emigrazione degli ebrei in Palestina. Nel 1917, la Dichiarazione Balfour riconobbe il diritto degli ebrei a creare una “dimora nazionale” in Palestina. Questa dichiarazione fu inserita nel Trattato di Sèvres. Che fu siglato tra le potenze alleate della Prima Guerra Mondiale e l’Impero Ottomano, portando la Palestina sotto il controllo britannico.
Conflitti armati e tensioni permanenti
Dopo la proclamazione dello Stato di Israele nel 1948, iniziarono una serie di conflitti armati tra Israele e i Paesi arabi limitrofi. Questi conflitti continuarono fino agli anni ’70, con diverse guerre combattute tra le due parti. Dopo il periodo di coinvolgimento diretto degli Stati arabi, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) divenne il rappresentante del popolo palestinese a livello internazionale.
La prima Intifada
Né il caso dell’Egitto né gli insuccessi militari degli altri Paesi misero a tacere le rivendicazioni palestinesi che, negli anni successivi, vennero portate avanti anche da nuove realtà, come appunto Hamas, e assunsero anche la forma della lotta armata. La tensione tornò ad alzarsi a livelli preoccupanti il 9 dicembre del 1987, quando il malcontento fece esplodere la prima “intifada delle pietre” e i manifestanti iniziarono a lanciare sassi e molotov contro le forze dell’ordine israeliane. Che risposero a colpi di mitra, Dietro la sommossa, si nascondeva però un crescente malcontento dovuto anche all’occupazione da parte di Israele dei territori conquistati con la guerra del 1967.
La questioni attuali: Striscia di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est
Lo Stato di Palestina comprende la Striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est. Tutti territori occupati da Israele dopo la Guerra dei Sei Giorni nel 1967. E mai più liberati. La Striscia di Gaza è una regione costiera contesa, con una popolazione composta principalmente da rifugiati palestinesi. La Cisgiordania è situata sulla riva occidentale del fiume Giordano ed è soggetta a controversie legate alla costruzione della barriera di separazione israeliana. Gerusalemme Est è particolarmente contestata, in quanto contiene luoghi sacri per ebraismo, cristianesimo e islam ed è rivendicata sia da Israele che dalla Palestina.
Gli sforzi di pace
Il 13 settembre 1993 quando Yitzhak Rabin, primo ministro israeliano, e Yasser Arafat, leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), firmarono gli Accordi di Oslo nel cortile della Casa Bianca. Questi accordi rappresentarono la prima volta in cui Israele riconobbe all’Olp il diritto di governare su alcuni territori precedentemente occupati, mentre l’Olp riconobbe il diritto di Israele a esistere e promise di rinunciare all’uso della violenza per creare uno stato palestinese.
Nel 1995, i due leader firmarono un’altra serie di accordi noti come Oslo II, ma il processo di pace fu interrotto drammaticamente quando Rabin venne assassinato da un fanatico religioso. In seguito, Ariel Sharon, un politico che criticava questi compromessi, divenne primo ministro. Gli anni 2000 videro un aumento della tensione: nel 2000 fallirono i negoziati a Camp David e ci fu una nuova intifada, seguita da conflitti nel 2014 e nel 2015, in cui nuovi tentativi di pace fallirono e si registrarono ulteriori vittime.
La stretta israeliana sui territori
Nel 2017, l’annuncio di Donald Trump di spostare l’ambasciata statunitense a Gerusalemme portò ad altre tensioni. E nel 2020 il premier Benjamin Netanyahu propose un piano per annettere le colonie israeliane in Cisgiordania. Minando la “soluzione dei due stati” proposta dagli Accordi di Oslo. Nel 2021, i disordini scoppiarono nuovamente a causa degli sfratti imminenti di famiglie palestinesi da Sheikh Jarrah, un quartiere di Gerusalemme Est. Questo portò a un conflitto di 11 giorni che causò più di 200 morti.
Gli accordi di Abramo
Nel mezzo di queste tensioni, nel 2020 Israele, Emirati Arabi e Bahrain firmarono gli Accordi di Abramo, sotto la supervisione degli Stati Uniti. Questi accordi furono lodati da Donald Trump come l’inizio di un “nuovo Medio Oriente”, poiché rappresentavano la prima volta in cui due Paesi del Golfo riconoscevano ufficialmente Israele.
Nonostante questi sforzi diplomatici, la situazione rimane complessa e senza soluzione, con momenti di pace spezzati da episodi di violenza e tensione. Il futuro dell’area rimane incerto, mentre il mondo osserva sperando in una soluzione pacifica a questo intricato conflitto.
Bignami sulla guerra: cosa è Hamas?
Da ricordare però che Hamas non è sinonimo di Palestina: si tratta di un’organizzazione religiosa islamica palestinese, di stampo paramilitare e politico, considerata un gruppo terroristico non solo da Israele ma anche dal fronte delle potenze occidentali. Di fatto è un gruppo estremista islamico che rivendica i diritti dei palestinesi e la guerra allo stato occupante di Israele. Quindi: se è vero che Hamas ha radici palestinesi, non si può dire che tutti i Palestinesi si riconoscano nei metodi della lotta armata di Hamas.
Cosa è successo il 6 ottobre?
Il 6 ottobre 1973, esattamente 50 anni fa, un attacco simultaneo di Egitto e Siria sulle frontiere Nord e Sud di Israele, le alture del Golan e il deserto del Negev, segnò l’inizio della guerra dello Yom Kippur. Questa data, così simbolica, viene nuovamente richiamata oggi, in un contesto diverso ma altrettanto drammatico.
Nella notte tra il 6 e il 7 ottobre, un attacco inatteso da parte di Hamas ha scatenato una serie di eventi che hanno profondamente scosso Israele, la Palestina e il mondo intero. Guidati da Yahya Sinwar, l’ex prigioniero ergastolano liberato nel 2011 durante uno scambio di prigionieri, i miliziani di Hamas hanno lanciato migliaia di razzi, colpendo decine di villaggi israeliani e arrivando fino a Tel Aviv. Questo attacco, caratterizzato non solo da bombardamenti aerei ma anche da incursioni via terra, ha causato la morte di oltre mille persone in un massacro indiscriminato e terroristico di militari e civilii. In particolare, l’attacco ha colpito un rave party a Re’im, dove sono stati ritrovati i corpi di 260 giovani e altri 750 sono dispersi, alcuni tenuti ostaggi in tunnel sotterranei a Gaza.
Israele colto impreparato
Questo attacco a sorpresa ha messo in luce una grave falla nel sistema di intelligence israeliano, che non è stato in grado di prevedere e intercettare il complotto preparato verosimilmente nei mesi precedenti. La reazione di Israele è stata rapida ed energica: il premier Netanyahu ha dichiarato che il Paese è in guerra e ha richiamato i riservisti per rispondere con forza all’attacco. Hamas, d’altro canto, si è rifiutato di trattare sui prigionieri, compresi i bambini e i feriti, mantenendo una posizione ostile.
Assedio completo a Gaza
Il bilancio umano in entrambi i territori è stato devastante, con centinaia di morti e migliaia di feriti. Mentre Israele ha dichiarato un “assedio completo” nella Striscia di Gaza, tagliando l’approvvigionamento di elettricità, cibo e benzina, la comunità internazionale ha reagito con orrore. Gli Stati Uniti, insieme a Cina e altri alleati occidentali, hanno inviato segnali di sostegno, avvicinando un gruppo d’attacco di portaerei nella regione e rafforzando la presenza di aerei da combattimento.
Mentre le sirene antiaeree continuano a suonare a Gerusalemme e Tel Aviv, mentre si scopre l’orrore dei massacri fatti dai miliziani di Hamas capaci di uccidere centinaia di civili con metodi terroristici inaccettabili, il mondo osserva con apprensione l’assalto dell’esercito arrestato alla striscia di Gaza con la mattanza e il coinvolgimento di un intero popolo.
Che ne dice Dillinger?
Che i morti innocenti non hanno colore e non hanno bandiera, che i bambini massacrati hanno lo stesso valore da una parte e dall’altra. E che noi, liberi fuorilegge dell’informazione, condanniamo l’assalto di Hamas e considerando la presa di ostaggi una schifosa forma di barbarie. Siamo inorriditi di fronte ai ragazzi uccisi al rave nel deserto, alle violenze e alle morti nei villaggi israeliani assaltati e distrutti. Condanniamo chi sfoggia il corpo di una ragazza nuda e insanguinata, con le gambe spezzate, riversa sul pianale di un pic-up riportando il mondo al Medio Evo.
Ma che allo stesso modo non dimentichiamo le ingiustizie, gli orrori, la sopraffazione e la violenza che i soldati e i coloni israeliani esercitano da settant’anni sui palestinesi con la connivenza dell’occidente e dell’America. Le bombe sulla piazza del mercato. Guardiamo con altrettanto orrore l’assalto a Gaza e alla sua gente e la pornografia intellettuale di chi vede la guerra con il suo carico di sofferenze come un grande spettacolo.