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Casalinghe disperate si raccontano in edicola

Casalinghe disperate si raccontano in edicola. Dopo le parole di Fedez, che si è messo a nudo raccontando la sua esperienza con la depressione acuta dopo la diagnosi del tumore, anche l’attrice e modella Randi Ingerman decide di condividere con tutti la sua realtà più intima: «Sono consapevole di soffrire di disturbi mentali. Non mi vergogno di dire che ho bisogno di aiuto». Mai come oggi in giro dilaga la voglia di mettere in piazza il proprio privato senza filtri. Per alcuni rappresenta certamente un intimo e sincero bisogno interiore, ci mancherebbe… ma per molti è solo un modo per spettacolarizzare e monetizzare la proprio notorietà.

Casalinghe disperate si raccontano in edicola

Ringraziando Fedez per il presunto coraggio, la Ingerman non ci gira affatto intorno e dichiara a sua volta: «Soffro di depressione e crisi epilettiche. Sono consapevole di soffrire di disturbi mentali e non ho remore ad ammetterlo». Con il sincero e completo rispetto e la comprensione per il suo stato attuale… ma un garbato “chissenefrega” mi sento di aggiungerlo.

Una situazione sempre più complicata, sia per i vip ma soprattutto per gli umani qualunque

Certo… i dati statistici non sono per niente rassicuranti. Secondo la Società Italiana di Psichiatria, più o meno un italiano su quattro ha avuto modo di provare, nel corso della sua esistenza, ansia, attacchi di panico, distonie alimentari, depressione e altre forme di disturbi mentali. E ti credo! Guardatevi intorno, provate a riflettere sulla vita che facciamo tutti. Sia i personaggi famosi, che almeno possono essere confortati dai vantaggi indubbi che il loro status arreca loro… e noi poveri umani qualunque. Pensate allo stress quotidiano, alla rabbia, ai piccoli-grandi problemi personali: il lavoro che è sempre più precario, la spesa al supermercato che ogni mese aumenta di prezzo, i mutui per la prima casa che costano sempre di più, le pandemie, la criminalità… LA GUERRA!!!

Parlarne può fare bene… ma a tutto ci deve essere un limite

La Ingerman, oltre alle interviste sui giornali femminili alla moda, lancia Naked, una piattaforma con «tanti canali diversi per parlare di disturbi mentali sia con chi ne soffre che con chi può dare una mano». Un progetto che – sono le sue parole – rappresenta la personale risposta a un problema con il quale convive da anni, complicato dall’epilessia. Una bruttissima bestia, per la quale la cura è molto difficile: «Purtroppo c’è una percentuale di persone resistenti ai farmaci per l’epilessia e io sono una di queste. Riscontro benefici assumendo olio di canapa e praticando la psicoterapia. Ma, soprattutto, cerco un benessere mentale e fisico attraverso l’esercizio, la vita sana, la dieta» continua l’ex modella.

Il rovescio della medaglia

Non c’è solo la trasparenza del dolore che contagia un po’ tutti. Un altro pericolo ha infettato la stragrande maggioranza della popolazione in modalità The Walking Dead. Quello rappresentato dalle 37 ore circa a settimana che mediamente trascorriamo connessi a internet, ovvero circa il 22% del nostro tempo libero. Lo sentenzia – come la mannaia di Mastro Titta – lo studio annuale sui social newtork. La nostra vita sociale, già difficile visti i tempi, è vincolata alle piattaforme social offerte in rete. “Postare” o “farsi un selfie” rappresentano l’antidoto illusorio al nostro male di vivere. Siccome siamo in gran parte soli, anche in mezzo alla gente, proviamo un malsano bisogno di piacere agli altri, rappresentato dal desiderio impellente e costante di approvazione sociale su Facebook, Instagram e simili. Un affanno di presenzialismo social strettamente connesso al plauso altrui, sentendosi accettati e spalleggiati dagli altri. Rappresentato, per esempio, dall’insensato benessere che avveriamo quando carichiamo un selfie che riceve molti apprezzamenti.

Quell’irrefrenabile voglia di posting

Postare, postare, postare… con il fine di proiettare un’immagine positiva (misurabile dai feedback altrui), allo scopo di dimostrare agli altri che siamo davvero felici. Ma la nostra realtà è davvero quella, ne siamo convinti? Secondo un altro recente studio, lo stato d’animo delle persone si modifica ed è condizionato dai post che vedono sui social network. Avvertire l’allegria e il benessere altrui ci spinge a voler raggiungere il medesimo stato. Stimolandoci a pubblicare a nostra volta contenuti simili, producendo l’effetto di “felicità contagiosa”. Ci potrebbe essere una terza via, quella forse più corretta. Evitare i sensazionalismi per guadagnare una copertina su Vanity Fair ed anche prendere le distanze dai social e dalla loro finta serenità. Riscoprendo invece il calore e la sincerità di poche ma fidate persone, da individuare nella cerchia familiare o amicale. E magari con l’aiuto del medico più opportuno. Al resto del mondo di te non gliene frega nulla, mettitelo bene in testa!

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