Ve la ricordate quell’atmosfera rassicurante, in cui l’odore del caffè si mischiava a quello delle sigarette – quando nei locali si poteva ancora fumare – e il rumore del flipper in sottofondo che si mescolava con l’hit del momento suonata dal jukebox? Ecco… per Pier Luigi Bersani, 72 anni, ex segretario del Pd, più volte ministro della Repubblica, bisognerebbe ispirarsi a quel contesto (ed anche altro) per “rifondare” il PD.
Da studiare come modello
Ancora attivo e sempre in giro fra dibattiti e partecipazioni a programmi tv, Bersani fa più “date” del suo amico Vasco Rossi, che tra l’altro fu l’artefice dello slogan per la sua campagna delle Primarie 2009: «Un senso a questa storia». Quel senso che, secondo lui, andrebbe ricercato nei bar di paese, dove da ragazzo giocava a carte, dove ha bevuto i primi alcolici da ragazzo. Figlio di quel pezzo di Italia che ha trascorso nel bar parte della sua formazione sociale. Un luogo-simbolo che andrebbe studiato come modello. Partendo dal presupposto che certi ragionamenti sono per antonomasia “da bar”, come ad esempio quelli che vogliono i gay dipinti anormali e le femministe fattucchiere. Che si sia veramente imboccata l’autostrada per l’inferno, dove è impossibile fare retromarcia?!?
La forza del dissenso
Per Bersani, fantasioso creatore di sillogismi e di battute, le modalità di comunicazione della destra prevedono una loro assidua frequentazione di quei luoghi simbolicamente popolari, dove addirittura saltare sulle sedie ed urlare gli slogan più diversi. E la sinistra che fa? In nome del “politicamente corretto” si limita a deplorare con stile: “Che brutte cose si dicono in questo bar! Quante parolacce! In questo brutto posto non entro!”. Tutto sbagliato… nel bar bisogna entrare ed avere il coraggio di dissentire, con forza e veemenza! Riprendendosi gli spazi di confronto e di consenso persi negli anni.
Una piazza di libero sfogo
Il bar è un luogo dove la gente si sfoga dialetticamente, libera da costrizioni sociali, da condizionamenti di ruolo e di appartenenza. Se in un ipotetico locale pubblico, in nome della libertà di opinione, un generale può arrivare a sostenere che un omosessuale è un malato, perchè non si può dire la stessa cosa del generale stesso?!? In altre parole, è necessario rivendicare la cultura popolare del bar, per un confronto ad armi pari, con un’opposizione “culturale e popolare”, svincolata da radicalismi chic e atteggiamenti snob.
Spararle grosse per ricevere l’applauso
Se per terreno da gioco della politica – prosegue sostiene Bersani – adottiamo simbolicamente il bar, il dibattito va rivisto alla luce della “prima legge del discorso da bar”. Quella che spiega come ci sia sempre uno che arriva e urla. Si avvicina al bancone, grida e raccoglie l’applasuo, dicendo la prima cosa che gli viene in mente, anche se magari nemmeno la pensa. E quindi il ragionamento sul libro del “famoso generale” va sviluppato in altri termini, più consoni alla cultura e alle leggi del bar. Se si sfoga uno, devono poter sfogarsi tutti.
La metafora attuale del nostro Paese
Arrivando poi alla seconda legge (no, non del fight club, sempre del bar…): quando la spari grossa il pubblico ride e tu prendi punto. Sempre secondo Bersani, il bar diventa la perfetta metafora del nostro Paese ai tempi del governo delle destre. Si spara contro i rave, contro i giovani, contro la Resistenza, contro i poveri (dipinti come “fannulloni divanisti”), contro i giovani (ritratti come drogati), contro i migranti, sempre clandestini o delinquenti. Un mondo dove la povertà è una colpa, da espiare nei modi più diversi. Venghino signori venghino… il bar è aperto, il dibattito pure…