È in corso, tra lo sgomento dell’opinione pubblica, il processo a Ciro Grillo, figlio del fondatore dei 5Stelle, e ai suoi amici Francesco Corsiglia, Vittorio Lauria ed Edoardo Capitta. In udienza si ascolta per il terzo giorno Silvia, nome fittizio che protegge la sua privacy. Alla fine, la ragazza si arrende: «Sono esausta e mi viene da vomitare dallo schifo». Reggetevi forte, capirete i motivi della sua prostrazione.
Mordi e fuggi
A porre le domande in aula, l’avvocata Antonella Cuccureddu, che assieme a Gennaro Velle difende Francesco Corsiglia. Accusato di aver abusato di Silvia per primo e da solo, con gli amici che guardavano sulla porta. «Perché non era lubrificata?», «come ha fatto Corsiglia a togliere gli slip?», «perché non ha urlato?», «perché non ha usato i denti?», «perché non si è divincolata?», «lei ha sollevato il bacino?». Sembra il Medioevo, eppure la legale è convinta di avere buoni motivi: «Faccio domande per annotare contestazioni su dichiarazioni che non tornano», si difende, convinta che «mi creda, non si può obbligare una donna a un rapporto orale — e non le specifico come possa difendersi — a meno che non abbia una pistola puntata alla tempia».
Il chiarimento sulle mutande
Dario Romano, l’avvocato che insieme a Giulia Bongiorno difende Silvia, le fa scudo: «La ragazza ha detto chiaramente che quel giorno si sentiva una preda». Il presidente del tribunale ci mette del suo, chiedendole: «Ci può chiarire come ha fatto l’imputato a toglierle le mutande? Che tipo di pantaloni indossava?». Silvia, a capo chino, risponde: «Elasticizzati».
Il primo processo per stupro
Correva l’anno 1979 quando venne trasmesso per la prima volta in tv un processo per stupro. La vittima era Fiorella, difesa dall’avvocato Tina Lagostena Bassi. Intervistata da Maria Novella De Luca per La Repubblica, Ilaria Boiano, avvocata dell’associazione Differenza donna, che difende e sostiene le vittime di violenza, regala una lucida analisi di questa incredibile udienza. «Siamo ancora a 44 anni fa? La difesa dei violentatori che chiama in causa la “mancata reazione durante il rapporto orale”, per dimostrare che quello stupro fosse in realtà un rapporto consenziente. Sembra di riascoltare le incredibili parole che pronunciò l’avvocato del violentatore, secondo il quale sarebbe bastato “un morsetto” della ragazza per far cessare l’aggressione. Ancora una volta, invece di indagare sull’imputato si punta a colpevolizzare la vittima».
La vera strategia
Ilaria Boiano risponde ferma alla domanda riguardo ai motivi che conducono a chiedere alla ragazza come le sarebbero stati tolti gli slip: «La strategia è chiara: constatare se c’è stata resistenza da parte della vittima. Se la donna non riesce a dimostrare di aver reagito, queste le tesi dei difensori, vuol dire che c’era consenso e dunque non si tratta di violenza. Ma noi sappiamo benissimo che in queste situazioni le donne si paralizzano. La cosa grave, ripeto, è che nei casi di stupro si continui a indagare sulla reazione, anche fisica, della vittima, piuttosto che sulle azioni dell’imputato. Questo sovverte la logica del processo, con la vittima che finisce sul banco degli imputati. Addirittura, la strategia consiste nell’indagare su cosa abbia provato chi subisce lo stupro, come abbia reagito il suo corpo. Sempre per spostare il focus sul consenso o, figuriamoci, del piacere».