Ennesima morte in carcere che si poteva evitare. Ennesima vittima che risponde al nome di Matteo Concetti che, tra qualche giorno, altro non sarà che un numero utile a stilare le classifiche sui suicidi nel carcere. Il ventitreenne si è tolto la vita presumibilmente con un lenzuolo mentre si trovava in isolamento. È avvenuto nel carcere di Ancona Montacuto, nelle Marche. Ma, in fondo, a chi importa di dove, come, quando e perché?
Il disagio mentale è un’emergenza anche in carcere
L’aggravante relativa al suicidio è il fatto che fosse un soggetto predisposto, perché soffriva di disturbi psichiatrici. Ma, ciò nonostante, non erano state previste per il ragazzo misure alternative alla normale detenzione in un istituto penitenziario. Nel 2030, come ci dice l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) il disagio mentale sarà la malattia più diffusa sul nostro pianeta. Noi però non siamo né culturalmente, né fattivamente in grado di gestire un problema così grande, che avrà un impatto molto più forte di quanto non lo abbia avuto la stessa pandemia.
Lo Stato dov’è?
Gli ultimi restano ultimi, chi sbaglia non è vero che verrà riabilitato, chi ha peccato una volta è marchiato a vita come il peggior essere umano sulla terra. Ci dimentichiamo spesso, finché ciò non lo proviamo sulla nostra pelle, che sbagliare non solo è fisiologico, ma che prima o poi, in misura maggiore o minore, capiterà a tutti. Quello che bisognerebbe fare, prima di tutto, è occuparsi di oltre il 40% di detenuti italiani che soffrono di disturbo mentale e che sono costretti a stare in una cella in condizioni disumane, in un ambiente che altro non fa se non peggiorare le condizioni di partenza del detenuto di turno.
Le soluzioni a cui nessuno vuole pensare
Quello che lo Stato non ha ancora capito è che, se non si cominciano a costruire, rafforzare e migliorare le strutture per chi soffre di un disagio mentale e al contempo deve scontare una pena, altro non accadrà che un aumento dei suicidi. Il disagio mentale si incancrenirà, e si radicalizzazerà nel nostro cervello. Lo Stato non ci vuole riabilitati, ci vuole vittime dei nostri stessi errori in eterno, con la convinzione che chi è finito lì dentro abbia meno diritti di chi è a piede libero. Non dovrebbe funzionare così se si considera il concetto di etica, di umanità e di aiuto verso chi è più debole. Che ci si appelli alla religione, alla filosofia, alla storia o, banalmente, al buon senso, tutti ci dicono la stessa cosa, siamo noi che vogliamo voltarci dall’altra parte.