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Sipario sul Saverio Costanzo Show

Di solito riservatissimo, Saverio Costanzo squarcia il velo dei rapporti con il padre Maurizio, altrettanto discreto nel parlare della sua famiglia.

Di solito riservatissimo, Saverio Costanzo squarcia il velo dei rapporti con il padre Maurizio, altrettanto discreto nel parlare della sua famiglia. Lo fa, d’accordo, perché sta promuovendo il suo nuovo film: peccatuccio veniale che si può perdonare, considerata la caratura e l’importanza per la cultura italiana del “giornalista coi baffi”.

Stronzo e un po’ snob

Saverio Costanzo rilascia un’intervista al vicedirettore ad personam del Corriere, Aldo “Cazzuto” Cazzullo. Il film che il regista sta lanciando è Finalmente l’alba, dedicato a suo padre Maurizio Costanzo. «Se ne sono stupiti in molti» racconta, «e mi sono interrogato sul motivo. Un padre se ne è andato, un figlio gli dedica il suo film: è normale, no? Forse dipende dal fatto che io di mio padre non ho mai parlato. Non ho quasi foto con lui». Di papà non ha mai detto granché «per timidezza. Per riservatezza. Non solo non volevo usare il suo nome; non volevo socializzarmi come il figlio di Maurizio Costanzo. Non intendevo apparire come quello seduto su una fortuna, su un privilegio. Alla fine il privilegio c’è comunque; ma io non lo sapevo». Costanzo jr. spara a questo proposito una frase di una sincerità quasi disarmante: «Io ero un po’ stronzo: quando ho cominciato a fare il regista, non volevo che parlasse di me. Ed ero anche un po’ snob. Lui no. Lui era un uomo di tv; e un uomo di tv è di tutti».

Ci voleva Maria

Le domande battono sul tasto dei rapporti di Saverio con il padre Maurizio Costanzo, un monumento per il Paese che, di notte, accusava un difettuccio: «Volevo molto bene a papà. Ma avevo una madre forte e molto presente, che non ci ha mai fatto sentire la sua mancanza. Poi certo abbiamo avuto i nostri conflitti, come sempre tra il padre e il figlio maschio. Devo molto a Maria. Fu lei a riavvicinarci». Ovviamente la Maria in questione è la De Filippi, una vita a provare a far perdere qualche chilo al marito. «Andavano da Mességué perché lui doveva sempre dimagrire», racconta Saverio. «Una volta Maria gli disse: portiamo anche tuo figlio. Allora avevo tredici anni, ed ero pure io un po’ grassoccio… Lui all’inizio non voleva: “Ma no, che palle!”. Finì che ci divertimmo tantissimo, sembravamo Sordi e Verdone nel film In viaggio con papà. Ci era toccata la camera insieme, un incubo. Se mi svegliavo (affamato) nel cuore della notte, russava talmente che non riuscivo più a prendere sonno. All’inizio mi pareva uno sconosciuto. Poi mi resi conto che papà era un uomo di un umorismo straordinario. E così, complice una certa sorniona ironia tipica dei romani che condividiamo, ci siamo ammazzati dalle risate».

Letti separati

Ora ci è chiaro come mai Maurizio e Maria, come lei stessa ha raccontato, dormissero in camere separate: «Lo rivedo nella sua camera da letto», ricorda Saverio, «affacciata su una chiostrina, con una coperta anni ’70, una trapunta bianca con i quadrati neri. Papà non ha mai dormito con mamma, come non credo abbia mai dormito con nessuna delle sue mogli. Stavamo in centro, in via dei Banchi Nuovi, al secondo piano. Ma lui se ne è andato di casa molto presto, quasi subito».

Il premio

Nel 2004 Saverio Costanzo vince il festival di Locarno con la sua opera prima, Private. “Un film quasi profetico: la storia di una famiglia di Gaza, costretta a convivere con i soldati israeliani che occupano la sua casa”, osserva Aldo Cazzullo. «Papà commentò: “È come se il proprietario di un teatrino di rivista scoprisse che suo figlio è Ibsen”». Avrebbe anche quasi pronto un film sul padre: «Il copione c’è, il titolo pure: Show. Ma manca l’interprete. Ci vorrebbe un attore dalla grande ironia sorniona. Forse solo un Tognazzi potrebbe riportarlo in vita».

Socialisti alla zuava

Saverio Costanzo conclude l’intervista raccontando un aneddoto imperdibile: «Avevo quattordici anni, c’era già stata la gita da Mességué. Papà mi telefona e mi chiede: “Ce l’hai una giacca? No? Compratela. Passo a prenderti tra due giorni”. Prendemmo l’aereo privato per Milano. Arrivammo e andammo ad Arcore da Berlusconi. Fu gentilissimo, mi portò in giro per un’ora a vedere la villa, mi riempì di gagliardetti del Milan: era il 1989, l’anno della sua prima Champions. Poi ci mettemmo a tavola, Berlusconi indossava una tuta di velluto. Papà era insolitamente teso. A un tratto un omone con i pantaloni alla zuava e la piccozza bussò alla vetrata: era Craxi con sua moglie Anna, reduce da una passeggiata nel parco di Arcore».

No grazie, Bettino

«Craxi dice a mio padre: “Le devo chiedere aiuto per un grande progetto, riguarda le donne socialiste”. Mio padre risponde con ossequio, io lo guardo con stupore e lui in imbarazzo mi rivolge uno sguardo d’intesa, come a dire: ne parliamo dopo. Prosegue la visita ad Arcore, compresa la famosa necropoli privata. Il giorno stesso ritorniamo a Roma. Al momento di salutarci, mio padre indugia un attimo, poi mi dice: “Comunque, quella cosa per Craxi, io non la farò mai”. Io gli sorrido: “Ciao papà”. “Ciao Save’”».

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