La sola certezza nel caso dell’omicidio di Desirée Piovanelli è il cadavere di una 14enne scempiato a coltellate e l’impronta della sua mano insanguinata su una parete della Cascina Ermengarda a Leno, presso Brescia.
L’omicidio di Desirée Piovanelli
I fatti risalgono alla mattina del 4 ottobre 2002 e, secondo le ricostruzioni, la ragazzina sarebbe stata tesa in un tranello da un branco di quattro, forse cinque individui, con il pretesto di mostrarle una cucciolata di gattini. Poi una agghiacciante storia di stupro di gruppo e sangue. A processo vanno Giovanni Erra, unico adulto del branco, allora 36enne, e i tre minorenni Nicola, Nico e Mattia, che hanno già finito di scontare le loro pene, tra i 10 e i 18 anni di carcere. Per Erra, l’ergastolo, ridotto a 20 anni in appello e riportato a 30 in Cassazione.
L’uomo scontava la sua condanna nel carcere di Bollate: ora è stato affidato ai servizi sociali e trasferito in una comunità. La sua buona condotta potrebbe ridargli la libertà alla fine del 2025. Il 3 novembre del 2005, nelle motivazioni della sentenza a suo carico, i giudici scrissero: “Una personalità disumana e insensibile al richiamo umanitario anche di fronte a una ragazza che implorava pietà (come lo stesso imputato ha dichiarato). La sua partecipazione al fatto, nella sua qualità d’adulto, ha contribuito notevolmente a rafforzare il proposito delittuoso dei tre minori, i quali, senza il conforto dell’adulto, verosimilmente non avrebbero coltivato quel proposito delittuoso”. Erra si è sempre dichiarato innocente e anche di recente ha dichiarato, sibillino: «Non sono stato io a ucciderla, chi sa come sono andate le cose parli».
I dubbi di suo padre
Il padre di Desirée, Maurizio Piovanelli, ha forti dubbi che sia stata resa giustizia al calvario della figlia. Dalle indagini e dai processi crede sia emersa la verità solo in parte. Piovanelli crede che ci fosse un quinto uomo in quel branco. Provato, a suo parere, da una traccia biologica che non appartiene a nessuno dei quattro condannati, isolata sul giaccone indossato da Desirée e mai approfondita. “Traccia di un soggetto di sesso maschile diverso dagli indagati”, secondo l’ex comandante del Ris di Parma Luciano Garofano. Maurizio Piovanelli chiede di riaprire il caso. L’inchiesta bis sulla morte di Desirée è stata archiviata.
È ovvio collegare questa vergogna al caso di Giulia Cecchettin. E chiedersi se, in un futuro, anche Filippo Turetta potrebbe essere affidato ai servizi sociali e quindi liberato in virtù dell’eventuale buona condotta. Sono casi che spaccano l’opinione pubblica tra garantisti e giustizialisti. Siete tra quelli che “sbatteteli dentro e buttate via la chiave”? O tra quelli che non negano a un delinquente la possibilità di redimersi?