Non solo Ilaria Salis. Ci sono 2.663 italiani incarcerati all’estero, più dell’80 per cento in penitenziari europei. L’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp) ha fotografato la situazione. I connazionali sono in cella soprattutto in Germania (1.079), Spagna (458), Francia (231), Belgio (202). Quindi in Paesi extraeuropei come Regno Unito (192), Svizzera (131) e Stati Uniti (91). Più o meno il 35% di loro sono in attesa di giudizio, con sentenze non definitive o in attesa di estradizione, in Stati dove le condizioni di vita carcerarie sono sovente escluse dalla minima dignità umana.
Alberto Sordi galeotto
Nel 1971, Nanni Loy diresse Alberto Sordi in un capolavoro, il film Detenuto in attesa di giudizio. Racconta il calvario di un geometra emigrato in Svezia che vuole portare la famiglia in vacanza in Italia. Ma viene fermato alla frontiera e rinchiuso in carcere, in una cella schifosa e con ranci nauseabondi. Il cinema ha affrontato varie volte il problema della disumanità in carcere e della crudeltà dei secondini. C’è Papillon di Franklin J. Schaffner (1973), con uno straordinario Steve McQueen. Oppure Fuga di mezzanotte, diretto nel 1978 da Alan Parker, con il protagonista Brad Davis, sbattuto in un carcere turco dove subisce ogni genere di spietata angheria.
Il caso Ilaria Salis, intanto, è tra i punti all’ordine del giorno della sessione plenaria dell’Eurocamera che si è riunita a Strasburgo oggi. L’eurodeputata del Pd Mercedes Bresso: “Fermo restando che per quanto riguarda il diritto penale è competenza degli stati membri, l’Ungheria ha aderito alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Dunque le condizioni di Ilaria Salis sono un problema che riguarda anche lo stato di diritto in Ungheria».
Crepare dietro le sbarre
Ci sono italiani che hanno perso la vita nelle carceri estere. Come il bancario leccese Simone Renda, caduto il 3 marzo 2007 nel carcere messicano di Playa del Carmen. Per la Corte d’Assise di Lecce fu vittima delle sevizie di sei addetti al penitenziario, tra cui due vicedirettori. Renda si sentì male in cella. Ma non ebbe nessuna assistenza sanitaria per 48 ore, né acqua, né cibo. “Con le loro varie condotte”, condannano i giudici leccesi, “produssero una sofferenza psico-fisica di portata indicibile, qualificabile come tortura secondo i parametri internazionali. Perché sofferenza di tale intensità da portare la vittima alla morte”. Poi ricordiamo Daniele Franceschi, carpentiere viareggino di 36 anni, colpito in cella da una crisi cardiaca che lo portò alla morte nel carcere di Grasse, in Francia.
Chico Forti
Tra gli italiani in galera altrove, uno dei casi più gravi è quello del 65enne Enrico «Chico» Forti, dal 2000 imprigionato nel Dade correctional institution di Florida City, condannato all’ergastolo e sempre dichiaratosi innocente. L’ex produttore televisivo e velista sconta una pena per frode,per circonvenzione di incapace e concorso in omicidio di un imprenditore australiano che risale al 1998. «Dopo aver trascorso 25 anni nelle carceri di massima sicurezza nelle paludi della Florida per una condanna all’ergastolo, crediamo sia umano garantire ora a Chico l’applicazione della convenzione di Strasburgo, che prevede per la persona definitivamente condannata di poter scontare la pena nel suo paese di origine. Contatti sono in corso ai massimi livelli tra Italia e Usa e confidiamo che la vicenda possa concludersi positivamente», dicono Gianni Forti, zio di Chico e Lorenzo Moggio, presidente del Comitato Una Chance per Chico, che riunisce gli storici amici dell’imprenditore di Trento.
Della sorte di Chico si interessò anche Luigi Di Maio, quando era ministro degli Esteri, senza ottenere risultati.
Filippo Mosca
Parliamo di Filippo Mosca, 29 anni, condannato in primo grado a 8 anni e 6 mesi per traffico internazionale di stupefacenti e incarcerato a Costanza, in Romania. E torniamo a Fuga di mezzanotte. Denuncia la sua famiglia: «In 30 metri quadri vivono in 24». Roberto Giachetti, segretario della Camera dei deputati in quota Italia Viva, se ne è occupato presentando un’interrogazione al ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Antonio Tajani. «Secondo la madre il processo si è svolto con il travisamento totale dei fatti avvenuti», testimonia Giachetti, “con intercettazioni non autorizzate e trascritte in modo indecente, così da espungere tutte le affermazioni a discolpa del figlio. In questo atto si intende evidenziare le condizioni di detenzione che mettono in serio pericolo la salute psico-fisica del ragazzo e la sua stessa vita”.
Le parole di Giachetti
“Filippo è detenuto nell’istituto penitenziario di Porta Alba di Costanza, uno dei peggiori carceri europei, più volte oggetto di condanna da parte della Corte Edu per trattamenti inumani e degradanti. Appena fatto l’ingresso in istituto è stato messo in isolamento Covid per 21 giorni in una stanza invasa dai topi e zeppa di escrementi anche sui materassi, vecchi e maleodoranti. Successivamente il ragazzo è stato spostato in una cella di circa 35 metri quadri, dove alloggiano 24 detenuti, in condizioni igienico-sanitarie immonde, con un buco per terra per fare i bisogni, sporco e nauseabondo.
Con la possibilità di lavarsi una volta a settimana, raramente con l’acqua calda, in docce che consistono in tubi che fuoriescono dalle pareti. Senza separazioni per preservare un minimo di privacy. Anche i riscaldamenti non funzionano. Mentre fuori ci sono temperature che in inverno raggiungono i 10 gradi sotto zero. A Filippo è stato anche vietato di ricevere una coperta. L’alimentazione che fornisce l’istituto consiste in una sgradevole poltiglia servita con il mestolo. Per cui i detenuti che possono permetterselo acquistano a caro prezzo ciò che fornisce lo spaccio interno. Ciò consiste prevalentemente in scatolame, biscotti e altri prodotti confezionati. In questo quadro desolante, è accaduto che il 26 gennaio Filippo è stato aggredito da un compagno di cella riportando una ferita al labbro e ustioni ad una gamba, rischiando di essere accoltellato da un altro recluso”.