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Gino Paoli picconatore di Sanremo

C’era una volta l’indice di gradimento. Ignoto alla generazione 2.0, profumato di tv in bianco e nero e condannato all’estinzione dall’Auditel, nato nel 1984. Il suo senso è stato approfondire se, al di là dei numeri, un programma fosse apprezzato e stimato dai teleascoltatori. Quanto incidesse sulla cultura del Paese, se fidelizzasse il suo pubblico, quanto dividesse oppure aggregasse. Ne sentiamo la mancanza ogni volta che squillano le trombe sul Festival di Sanremo.

C’era una volta l’indice di gradimento. Ignoto alla generazione 2.0, profumato di tv in bianco e nero e condannato all’estinzione dall’Auditel, nato nel 1984. Il suo senso è stato approfondire se, al di là dei numeri, un programma fosse apprezzato e stimato dai teleascoltatori. Quanto incidesse sulla cultura del Paese, se fidelizzasse il suo pubblico, quanto dividesse oppure aggregasse. Ne sentiamo la mancanza ogni volta che squillano le trombe sul Festival di Sanremo. Possiamo sapere dalla giuria demoscopica quanto piacciano le canzoni, non capire se la qualità dello show è riconosciuta dal pubblico piuttosto che accolta con perplessità. È una dinamica con un preciso responsabile: gli sponsor. Il burattinaio che fa ballare le marionette sul palco dell’Ariston è la cassa degli spot, subito dopo i politici. La domanda è: il livello musicale ne risente? Gino Paoli ne è sicuro.

Merda a palate su Sanremo

Ospitato dal podcast Tintoria, il cantautore genovese non le manda a dire. «No, non guardo Sanremo. Una volta era il Festival della canzone, non era neanche importante chi la cantasse, poi le case discografiche si sono accorte del potere rituale per l’Italia e adesso fanno il prodotto finito sperando che abbia una promozione. Da lì la tv si accorge che lo spettacolo di Sanremo funziona, arriva non solo in Italia ma anche fuori, e allora si appropria di Sanremo e lo fa diventare lo squallido spettacolo che è adesso». Il problema per l’artista è il meccanismo di selezione dei brani in gara: «Era un fatto globale quello delle canzoni che andavano a Sanremo perché erano state scelte da un editore, quindi avevano dei filtri già talmente importanti che la canzone di mer*a non arrivava a Sanremo, invece adesso ci arrivano soprattutto quelle di mer*a».

Dire quel che si pensa

Paoli quest’anno ne fa 90 e con la sua carriera e il suo carisma si permette, giustamente, di esprimere il suo pensiero senza salamelecchi o pillole zuccherate. Eccepiremmo solo su un risvolto della questione. Pessime canzoni hanno straziato le orecchie degli italiani anche all’epoca della tv in bianco e nero o, perfino, della radio, agli inizi unico auditorio per la kermesse. Oppure c’è qualcuno in collegamento che giudichi Non ho l’età di Gigliola Cinquetti una buona canzone?

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