Alle 18,30 inizia il sit-in organizzato dal Pd davanti al cavallo di viale Mazzini. Per protestare contro quella che definiscono “TeleMeloni”. Questa intesa come una Rai che sarebbe egemonia dell’esecutivo e che emarginerebbe le opposizioni. «È un segnale che siamo costretti a lanciare, perché la situazione è preoccupante», dichiara a La Repubblica il senatore del Partito democratico Walter Verini. «La manifestazione segna l’avvio di una battaglia per un servizio pubblico liberato da una occupazione militare di questa destra e del governo; ma al contempo vogliamo farne una di prospettiva con le forze della cultura e dell’informazione, affinché la tv pubblica sia svincolata dalla padronanza di governi e politica. Giorgia Meloni mostra di avere un grande fastidio per i controlli, specie quello della libertà di informazione. Le querele agli scrittori come Roberto Saviano, gli attacchi a Report e a La Repubblica, c’è un salto di qualità negativo in tutto questo», conclude. L’ex presidente e ora consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti Carlo Verna prende carta e penna e scrive a La Repubblica per dire la sua.
La lettera di Carlo Verna a Repubblica
“Caro direttore, il tuo forte titolo di ieri: “Divieto di parola” conclama un problema anche per la nostra categoria che mi sembra opportuno, in questo momento storico segnalare. La vigilanza sull’Ordine dei giornalisti da parte del ministero della Giustizia. Come sai, anche per gli incontri che abbiamo avuto, ho presieduto quest’ente pubblico per quattro anni, mentre attualmente al suo interno ne rappresento la Campania come consigliere nazionale e in questa veste ho nell’assise diritto di tribuna, senza dover avere le preoccupazioni istituzionali che toccano al mio successore. È chiaro che con questo laccio politico il presidente dell’Ordine non potrebbe fare il direttore di La Repubblica e il direttore di La Repubblica avrebbe problemi a fare il presidente dell’Ordine.
È un paradosso, naturalmente, per dire che il giornalista deve, nel segno dell’articolo 21 della Costituzione, poter essere sempre libero, e ancor di più se rappresenta i colleghi, alcuna soggezione deve avere. Posso anche testimoniare la qualità e l’imparzialità dei magistrati del ministero vigilante.
Un problema politico
Ma il problema politico, e di conseguenza costituzionale, è enorme. Eletto quando, con il governo Gentiloni, c’era Orlando, “debuttai” di fatto con Bonafede alla guida del dicastero. Ottimi rapporti personali, ma dal “Vaffa day” il M5S aveva come obiettivo di abolire l’Ordine. E quindi ogni nostra istanza non poteva non tenerne conto, ci si trovava in una cristalleria. Devo all’attenzione dell’allora presidente Giuseppe Conte e alla capacità di ascoltare dell’allora sottosegretario all’Editoria Vito Crimi, che le ragioni evidenziate a tutela della buona pratica italiana costituita dall’ente che presiedevo facessero cancellare dall’agenda politica l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti. Ancora più delicato il rapporto con Marta Cartabia. Anche lei sempre personalmente attenta e cortese, avendo pure tra gli altri meriti quello di aver firmato, da presidente della Corte costituzionale, un’importante ordinanza sul tema della pena edittale del carcere ai giornalisti. Che l’anno dopo fu oggetto del definitivo esame con sentenza soddisfacente (presidente Coraggio, relatore Viganò). In attesa di una legge sulla diffamazione, per noi dell’Ordine, riconosciuto come soggetto portatore di un interesse qualificato e costituito ritualmente in giudizio.
Tuttavia, mentre in piena pandemia, il ministero era arbitro della data del voto e delle sue modalità, in un intreccio tra scadenze e varie normative pubbliche da rispettare, la stessa ministra faceva andare avanti la normativa sulla cosiddetta “presunzione di innocenza”. Che troppi paletti pone alla libertà di stampa, costituendo un vero e proprio bavaglio.
Tante anche oggi le questioni all’esame di Nordio e contemporaneamente tante le polemiche politiche da valutare liberamente dai giornalisti che lo riguardano. Può un giocatore essere terzo nella mediazione tra fonte e pubblico verso il suo arbitro?”.
Nessun cenno al nodo del finanziamento pubblico all’editoria, che temiamo sia la vera pietra dello scandalo. Sono in ballo centinaia di milioni, che se sottratti alla carta stampata, farebbero danni ben più gravi di “leggi bavaglio” o simili. Meditate gente, meditate.