L’avventura sanremese di Ghali è al centro dell’attenzione, anche internazionale, dopo che l’ambasciatore israeliano in Italia ha stigmatizzato il suo appello «Stop al genocidio», pronunciato dal suo “alieno” sul palco dell’Ariston. Colpo di scena, si scopre che tra i fan del cantante c’è un alto prelato, rappresentante de facto di un altro Stato, il Vaticano. È Giancarlo Ravasi, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura di San Pietro. Il cardinale esprime il suo entusiasmo per Ghali con un post su X, dove cita un passaggio di Casa mia, la canzone di Ghali in gara al Festival. “Siamo tutti zombie col telefono in mano / Sogni che si perdono in mare […] Ma qual è casa tua / Ma qual è casa mia / Dal cielo è uguale, giuro”. È nota la sensibilità di Papa Francesco al problema dell’abuso, da parte degli adolescenti, di smartphone & Co. Ravasi riporta l’attenzione sul tema con un implicito elogio ai versi di Ghali. Che, da parte sua, non le manda a dire al diplomatico che lo accusa: «Il fatto che l’ambasciatore parli così non va bene, continua la politica del terrore, la gente ha paura di dire stop alla guerra, stop al genocidio, stiamo vivendo un momento in cui le persone sentono che vanno a perdere qualcosa se dicono viva la pace. Ci sono dei bambini di mezzo: quei bambini che stanno morendo, chissà quante star, quanti dottori, insegnanti, quanto geni, ci sono lì in mezzo».
Legittimazione alla distorsione
Ghali però non convince la presidente delle Comunità ebraiche Italiane, Noemi Di Segni. «Se la musica e il festival, per la sua rilevanza, è lo spazio per la libertà di esprimere pensieri di amore, di dolore, di gioia, di denunce sociali e contestazioni politiche, dispiace che questo palco non sia stato l’occasione per lanciare parimenti, un appello per il rilascio degli ostaggi nelle mani di Hamas, lasciando all’unilateralità la legittimazione alla distorsione, con uso di termini che ancora una volta offendono la storia del nostro Paese e dell’Europa tutta», dichiara all’Ansa. «La vincitrice Angelina, assieme ai vincitori degli altri paesi e di Israele, saranno all’Eurovision: auspico che almeno lì non si verifichi alcun episodio di distorsione e boicottaggio. Da qui all’Eurovision mi appello a ricordare ogni giorno i 136 ostaggi, anche loro hanno diritto alla loro musica e di tornare alla loro casa».
È certamente comprensibile, da parte di un popolo che ha subito la Shoah, l’ipersensibilità al concetto di genocidio. Quel che ci dispiace è che venga riferito quasi solamente alla “diaspora” israeliano-palestinese. Chiaro, fa più notizia e assicura a un musicista visibilità non solo artistica. E lo sterminio di intere etnie in altri Paesi del mondo? L’America è nata con lo sterminio degli indiani nativi, altrimenti detti Pellerossa.