Il ministro della Giustizia Carlo Nordio alza l’indice e il medio in segno di vittoria. Dall’aula del Senato arriva forte e chiaro il via libera alla sua riforma della giustizia. I voti favorevoli sono stati 104, contrari 56 e nessun astenuto. Il provvedimento passa ora all’esame della Camera.
Ascoltiamo la fanfara squillante del ministro in quota FdI: «È l’inizio della fine di un periodo oscuro per la giustizia italiana, che ha visto molto spesso sul banco della opinione pubblica persone completamente estranee alle indagini, delegittimate, offese e compromesse nella loro carriera per ragioni che si sono rivelate infondate».
Davanti a lui un plotone di giornalisti, non pervenute domande tese ad approfondire. «È un momento importante per la riforma complessiva della giustizia, che in questo momento viene siglata da un ramo del parlamento. Attendiamo la seconda con fiducia. Importante per l’amministrazione, perché rassicura i pubblici amministratori contro quella che tutti ormai conoscono come la paura della firma, che era fondata non tanto sulla prospettiva di una condanna, che non sarebbe mai intervenuta, quanto su quella della diffusione simultanea della notizia dell’indagine che spesso ha compromesso la loro carriera e anche la candidatura di molti di questi». Lisciamo un po’ i giornaloni ossequiosi al potere di turno, il Guardasigilli è pronto: «La libertà di stampa è sacra e inviolabile, esiste anche la garanzia della segretezza delle informazioni e la dignità dell’individuo. Posso solo dire che quando la stampa diffonde notizie che dovrebbero essere riservate o segrete nell’ambito processuale, la colpa non è mai del giornalista che le ottiene, è sempre di chi le divulga o lascia che vengano divulgate. Il giornalista fa il suo dovere, salvo casi eccezionali». Quali sarebbero questi casi eccezionali? Non è dato saperlo, ma immaginarlo eccome.
«In linea generalissima il giornalista che riceve una notizia ha il diritto, e per certi aspetti il dovere, di pubblicarla. Il problema è che se questa notizia è riservata, la colpa è di chi ne ha consentito quantomeno la divulgazione. E anche qui interverremo». Ancora mosso da empiti democratici, Nordio mette un paletto che farà discutere alle intercettazioni, che pure hanno permesso lavori di indagine su Cosa Nostra essenziali: «Il sequestro di un semplice telefonino non è più il sequestro di una conversazione, ma è l’intromissione nella vita del sequestrato e di tutti quelli che hanno avuto rapporti con lui. In un telefonino o in uno smartphone sono contenute cartelle cliniche, dichiarazioni dei redditi, conversazioni intime, immagini, non soltanto del sequestrato, ma dei suoi amici e degli amici degli amici. La tecnologia oggi consente questa concentrazione di notizie che poi vengono assorbite nel telefonino, nel cellulare, e che possono essere sequestrate con la sola firma di un pubblico ministero. Cosa inaudita che confligge contro qualsiasi regola umana e divina».
Sì, avete sentito bene. «Divina». Papa Francesco, pensaci tu. «Cosa che è contro l’articolo 15 della Costituzione, che tutela la riservatezza delle conversazioni. Questo il nostro provvedimento di oggi non lo affronta, ma siamo in dirittura d’arrivo per una complessiva modifica delle intercettazioni, quindi questo è solo l’inizio».