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Morto in carcere Navalny, l’anti-Putin per eccellenza: ma non per “malore dopo passeggiata”, ma per la resistenza

Il 47enne ha avuto un malore dopo una passeggiata, o almeno questa è la cazzata che vogliono raccontarci. Facciamo onore a quest'uomo

Una divertente pantomima, a cominciare dal comunicato del Servizio penitenziario federale

Alexey Navalny è morto oggi in carcere, anche se le notizie sulle cause del decesso del 47enne, giungono alla spicciolata da Mosca. La pantomima è davvero lunga, e ad aprire il sipario ci pensa il comunicato del Servizio Penitenziario federale, che dice: “Il 16 febbraio di quest’anno, nella colonia correzionale n. 3, il detenuto Navalny si è sentito male dopo una passeggiata, perdendo quasi immediatamente conoscenza. Gli operatori sanitari dell’istituto sono immediatamente arrivati ed è stata chiamata una squadra medica di emergenza”

Poi ci si mette il comunicato rilanciato dalle agenzie russe

Continua poi la scenetta il comunicato rilanciato dalle agenzie russe: “Sono state eseguite tutte le misure di rianimazione necessarie, ma non hanno dato risultati positivi. I medici del pronto soccorso hanno confermato la morte del condannato. Si stanno accertando le cause della morte”.

Poi ci si mette la tv di stato: “Morto per un’embolia”

Secondo quanto riferito da alcune fonti alla televisione di stato Rt, Aleksey Navalny sarebbe morto per un’embolia. Lo riporta il sito di opposizione Meduza. Sulle circostanze del decesso l’agenzia di stampa russa Interfax pubblica la versione dell’ospedale: i medici avrebbero cercato di rianimarlo per mezz’ora, dopo che si era sentito male durante una passeggiata. Aggiungendo che un’ambulanza è arrivata sul posto in sette minuti, ma i tentativi di rianimazione erano già in corso da parte del personale sanitario del carcere. Che grave sfortuna.

Chissà perché, tutti pensano sia colpa delle autorità Russe

La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha condannato quella che ha definito una reazione “istantanea” dei leader dei Paesi Nato. “Non abbiamo ancora i risultati dell’esame medico legale, ma le conclusioni dell’Occidente (secondo cui le autorità russe sono responsabili della morte del politico) sono già pronte”, ha scritto su Telegram.

Il ministero degli Esteri russo ha affermato che gli Usa devono astenersi dal lanciare “accuse indiscriminate” sulla morte di Navalny e aspettare i risultati dell’esame forense del corpo.

Passa la parola al premio Nobel russo per la pace Dmitrij Muratov

Per il direttore di Novaja Gazeta premio Nobel russo per la pace Dmitrij Muratov “il coagulo di sangue (se è stata davvero la causa) è una diretta conseguenza del suo 27esimo confinamento in una cella di punizione. Aleksej Navalny è stato sottoposto a tormenti e torture per tre anni. Come mi ha detto il medico di Navalny: il corpo non può sopportarlo”.

E le Nazioni Unite? Indignate

Le Nazioni Unite si sono oggi dette “indignate” e hanno esortato le autorità russe a garantire che venga condotta un’indagine “credibile” sul decesso di Navalny. “Se qualcuno muore sotto la custodia dello Stato, si presuppone che lo Stato sia responsabile, una responsabilità che può essere confutata solo attraverso un’indagine imparziale, approfondita e trasparente condotta da un organismo indipendente”, ha affermato la portavoce dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani Liz Throssel in una dichiarazione resa nota a Ginevra

E poi arriva la Meloni

“Un’altra triste pagina che ammonisce la comunità internazionale. Esprimiamo il nostro sentito cordoglio e ci auguriamo che su questo inquietante evento venga fatta piena chiarezza”. Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

E poi arriva Antonio Tajani

“Dopo anni di detenzione in un regime carcerario non proprio liberale la Russia perde una voce libera”. A dirlo è il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

E poi arriva Macron

“Nella Russia di oggi, gli spiriti liberi vengono messi nei gulag e condannati a morte. Rabbia e indignazione. Saluto la memoria di Alexey Navalny”. Così il presidente francese Emmanuel Macron.

E poi tutti i paesi in fila indiana

E poi tutti i paesi in fila indiana si uniscono alla condanna e alle condoglianze il Regno Unito, con Sunak che commenta “una notizia terribile”; la Germania, con Scholz, “ha pagato il suo coraggio con la sua vita”. Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, invita la Russia a dare risposte.

E Dillinger? Noi arriviamo adesso

Nella luce sintetica delle cellule fotoelettriche che lo circondano tra le sbarre della prigione, si fa fatica a riconoscere Aleksej Navalny in quella figura smagrita e allucinata che si alza in piedi nella tuta nera dei reclusi, per ascoltare la sentenza che lo condanna a 19 anni di carcere a regime speciale per “estremismo”. Una pena che è un’esclusione perpetua dalla vita civile della Russia per l’uomo di cui Vladimir Putin non pronuncia mai il nome, ma che è ormai da anni il suo vero oppositore, l’elemento di contraddizione del suo potere, il nemico pubblico numero uno del Cremlino.

“Non perdete la volontà di resistere. Riflettete, agiscono così per intimidire: non me, voi”

Le parole della condanna lo hanno raggiunto nel penitenziario IK-6 di Melekhovo, 250 chilometri da Mosca, dove stava scontando un’altra pena per “frode” a 11 anni e mezzo in isolamento davanti a un ritratto di Putin, senza vedere i genitori da un anno, rinchiuso in una cella «grande come la cuccia di un cane» su uno sgabello senza schienale, come hanno denunciato 600 medici russi firmando un appello per la sua salute. Lui aveva calcolato in anticipo con esattezza la nuova condanna, quasi fosse una misura meccanica della sua indagine permanente sul potere: «Il numero di anni di reclusione non ha nessuna importanza — aveva detto tre giorni fa — , perché è comunque una condanna a vita. O per la durata della mia, o per quella del regime». Poi ha spostato il problema da lui a noi tutti, in Russia e fuori: «Non perdete la volontà di resistere. Riflettete, agiscono così per intimidire: non me, voi».

Ecco cosa ha sorretto Navanly in una guerra persa ancora prima di cominciare a combattere

Aveva indossato quella tuta carceraria appena rientrato in Russia dalla Germania dopo le tre settimane di coma e la lunga cura per il tè avvelenato dalla polizia segreta russa, secondo la pubblica denuncia ripetuta più volte, in patria e all’estero, cui si aggiungerà la rivelazione dell’agente chimico tossico sparso dall’Fsb, il Servizio di Sicurezza Federale, sulle sue mutande. Non era riuscito nemmeno a raggiungere Mosca, perché gli Organi di sicurezza lo avevano immediatamente arrestato all’aeroporto di Sheremetyevo. Molti non hanno capito nemmeno oggi la scelta di ritornare in Russia dopo che il potere aveva tentato di ucciderlo, quasi fosse l’esibizione di un duello mortale, la mistica del martirio. Ma le cose per Navalny sono più semplici: «Qui è casa mia, e poi io so che ho ragione, e che le accuse criminali lanciate contro di me sono fabbricate a tavolino. Per questo non ho paura e vi chiedo di non avere paura di niente».

Questa piena assunzione del rischio, accompagnata da una totale svalutazione della soggezione al potere è la cifra politica dell’ostinazione di Navalny, ciò che lo motiva, lo guida e lo sorregge in una partita con il Cremlino talmente sproporzionata da poter essere giocata soltanto in una dimensione immateriale, dove anche la prigione, la costrizione fisica, il veleno e infine il corpo non riescono a contenere la portata della sfida, e a controllarla.

E’ sempre stato così

Lui era già così all’inizio, quando aveva 36 anni. Teneva le mani in tasca, come se il suo corpo fosse già un problema, nella penombra dell’internet caffè coreano sulla Nikolymskaja, che considerava il suo ufficio volante. Più che un bar, quelle due stanze a Mosca sembravano la stazione d’ingresso in un mondo a parte, che lui raccontava come possibile. Ogni volta che si apriva la porta, ricominciavano le note di Magic Moments che risuonavano anche giù in fondo, dove Aleksej Navalny riceveva gli ospiti su un divano rosso, il suo posto, davanti al cosiddetto tavolo del dissidente.

Il sito internet che radunava il tutto si chiamava RosPil, cioè segatura, lo scarto sporco che resta dopo i lavori. Attraverso le segnalazioni che arrivavano in quel piccolo ufficio vicino al Kolzò si accendeva un faro per illuminare e controllare come venivano spesi i soldi pubblici negli appalti di Stato, dove la corruzione faceva man bassa e ogni anno su 5 trilioni di rubli uno veniva rubato. Ogni denuncia ricevuta diventava pubblica sul sito, 93 avvocati indagavano e se scoprivano abusi presentavano la denuncia, mentre un portafoglio elettronico raccoglieva e rendicontava costantemente i contributi liberi dei cittadini per far fronte alle spese e sostenere la battaglia. Schiacciammo un tasto: al saldo di quel giorno, la “segatura” raccolta da RosPil arrivava a 40 miliardi di rubli, un milione di euro.

C’è molto di più

Ma in realtà c’è molto di più. Perché inconsapevolmente Navalny riassume nella sua immagine — imprigionata o libera — una metamorfosi storica per la Russia, vale a dire il passaggio dal dissenso all’opposizione. Dallo Zar a Cernenko, le Russie hanno conosciuto in ogni stagione l’eroismo dei dissidenti, ma anche la loro solitudine, l’isolamento, la condanna a vivere la condizione separata e sorvegliata di una testimonianza individuale, sia pure di altissimo valore culturale e spirituale, come quella di Solgenitzin, o di risonanza mondiale ma sperimentata come un obbligo della coscienza personale, come nel caso di Andrej Sakharov. Qui è diverso.

Ricorderemo per sempre questo grande uomo, diventato ora simbolo

Navalny è un soggetto politico vero e proprio, ha dimostrato di poter suscitare un movimento, mobilita i seguaci, è naturalmente candidato a contendere il potere. Rappresenta cioè la radicalità antisistema, dunque l’obiezione permanente, quindi l’opposizione possibile. E per incarnare tutto questo, lui è addirittura disposto a lasciare il corpo in ostaggio al regime: che mentre lo imprigiona lo sente sfuggire, perché coraggio e coerenza non si possono mettere in cella. L’appuntamento è indefinito, ma sicuro, e inquieta il regime perché è una sfida senza scadenza, fuori dal tempo: «Un giorno, prima o poi, la Russia si risveglierà».



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Un ragazzaccio appassionato di sport, cultura e tutto ciò che è assorbibile. Stanco della notizia passiva classica dei giornali e intollerante all'ipocrisia e al perbenismo di cui questo paese trabocca. Amante della libertà e diritto della parola, che sta venendo stuprata da coloro che la lingua nemmeno conoscono. Contrario alla censura e alla violenza, fatta qualche piccola eccezione. Ossessionato dall'informazione per paura di essere fregato, affamato di successo perché solo i vincitori scriveranno la storia.