Home EDITORIALI Sanremo, città dei fiori e dei calcinacci

Sanremo, città dei fiori e dei calcinacci

Il 74esimo Festival della canzone italiana è finito da una decina di giorni, le polemiche proseguono. In questo caso non sulle presunte irregolarità del televoto. È la citta stessa sotto accusa: detta “dei fiori” ma per Enzo Mazza, presidente delle major discografiche italiane, più dei calcinacci. Da anni si discute se il teatro Ariston e il suo contesto urbano siano ancora adatti a una kermesse di tale complessità. Ma nulla si muove. «Sanremo è una città che probabilmente pensa di poter vivere di rendita», punta il dito Mazza. «Ma senza investimenti diventa sempre più fosforescente la distanza tra la modernità di un Festival di grande successo e l’obsolescenza di una città che non vuole crescere». I grandi ospiti internazionali fuggono da Sanremo, per trovare un albergo alla loro altezza: «Russell Crowe e John Travolta hanno dormito a Nizza pur di non stare a Sanremo, ci sarà un motivo o no?». Qui si apre un capitolo che potrebbe durare pagine e pagine. Le cronache delle star straniere a Sanremo sono spesso esilaranti. Madonna che pretende di cambiare i colori di tutta la biancheria nella sua stanza perché odiava quelli che ha trovato. I Duran Duran che mettono a soqquadro sia il camerino all’Ariston sia le loro stanze d’albergo al Royal, lasciandole in condizioni pietose. Elton John blindato a Nizza mentre Pippo Baudo lo aspetta, ostinato nel pretendere un cachet esorbitante, con i dirigenti Rai costretti a estenuanti trattative con il manager.

Madonna che capricci!

Torniamo al presidente Mazza. Che va giù di mazzate: «La Rai si è modernizzata. Noi discografici ci siamo modernizzati. E Sanremo è ancora lì con le facciate dei palazzi sbreccati, il treno veloce che però è lento, le fognature che si rompono e gli alberghi che non vengono ristrutturati da vent’anni. La cosa più moderna è quell’assurda stazione ferroviaria scavata nella roccia che per raggiungere i due – dico due – binari devi fare quattrocento metri e prendere due ascensori. Manco a New York. Sarà costata miliardi». Aggiungeremmo: i ristoranti in piazzetta che ti pelano anche se mangi solo un piatto di pasta con una bottiglietta d’acqua. I sedili del teatro, ancora con le sedute ribaltabili come nei cinema d’oratorio di una volta, che si impigliano nelle giacche e le strappano. Le condizioni del lungomare all’alba, lastricato di bottiglie e ciarpami vari, come se fossero passati gli Unni.  Mazza però precisa: «Vi ricordo che il comune di Sanremo detiene il marchio di “Festival di Sanremo” e di “Festival della Canzone Italiana”, quindi la kermesse canora deve necessariamente restare nel piccolo comune di Imperia se vuole continuare a chiamarsi così». Un tentativo di uscita fu fatto da Adriano Aragozzini, organizzatore nel 1990: lo spostò in una grande struttura al Mercato dei fiori. « Aragozzini voleva un palcoscenico e una struttura giganteschi. Ma fu un disastro: il luogo era asettico, la scenografia dispersiva, il suono inadeguato. Il Palafiori era fuori città e ne risentirono gli incassi di ristoratori e albergatori. L’anno dopo si tornò all’Ariston». Quindi, niente da fare, dovremo per forza tenerci cocci di bottiglie e un traffico peggio che a Bogotà?

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