Un tema molto discusso, anche in Parlamento
La domanda lecita nata da un caso capitato in una scuola elementare di Pordenone è: giusto o sbagliato permettere alle alunne di scuole italiane di presentarsi in aula col velo islamico? Il tema è tornato agli onori della cronaca e probabilmente arriverà fino in Parlamento.
Come si è risolta la faccenda?
La vicenda in sé si è risolta nell’arco di poche ore e in modo assolutamente “pacifico”. Una bambina di dieci anni si è presentata in classe con il niqab, il velo che copre tutto il viso lasciando solo una fessura per gli occhi. La maestra l’ha fatta entrare per non farle perdere un giorno di scuola, ma ha detto ai genitori che per i giorni successivi la piccola doveva avere il volto scoperto. La famiglia ha accolto la richiesta e ha sostituito il niqab con l’hijab, foulard che invece copre solo i capelli.
Non ci sono state segnalazioni o altre azioni “formali”. Quanto accaduto in classe diventa di dominio pubblico perché a raccontarlo è un gruppo di genitori della stessa classe. Riferiscono che la maestra “ha sempre agito con saggezza e anche con grande discrezione”. “Questa bambina, originaria della Nigeria, è nata e cresciuta in Italia – raccontano – è bastato l’intervento della maestra perché il niqab venisse sostituito dall’hijab, normale foulard che copre i capelli e il collo delle persone adulte di sesso femminile.
Visto che quella mattina la bambina era già arrivata, e l’insegnante non voleva farle perdere la lezione, per quell’unico giorno è rimasta in classe con il volto coperto e per i compagni è stato una sorta di gioco. Dalla mattina seguente nessuno è mai più tornato sul discorso”.
La politica non è rimasta a guardare
La notizia però viene rilanciata dal mondo politico col senatore e segretario della Lega Fvg Marco Dreosto che annuncia un’iniziativa parlamentare: “È un fatto inaccettabile. Una cosa è la libertà religiosa, un’altra invece è il fondamentalismo religioso imposto su bambine innocenti. Ricordo come Francia e Belgio abbiano vietato il niqab nei luoghi pubblici e anche l’Egitto, paese mussulmano, ne abbia vietato l’uso a scuola. Presenterò un’iniziativa in Parlamento in questo senso il prima possibile”.
“Il velo integrale va contrastato per ragioni di dignità umana e di sicurezza”, dice in una nota il sindaco di Monfalcone (Gorizia), Anna Maria Cisint. Secondo il primo cittadino la vicenda di Pordenone “conferma che le mie denunce sul processo di islamizzazione in corso riguardano, in maniera diffusa, anche altre realtà italiane”.
Cisint denuncia un’attività delle comunità islamiche volta a “imporre i loro modelli culturali, far valere la legge coranica al posto di quella italiana e creare luoghi di preghiera anche al di fuori di ogni legalità. Si giustificano e si avvallano comportamenti di disprezzo dei diritti umani e di violazione di ogni regola di civiltà e di legalità e si finisce per dare spazio a una sorta di sudditanza verso una cultura e un modo d’essere che, per principio, sono antitetici con le nostre ispirazioni e i nostri valori”.
Nuove norme a scuola
Cisint fa sponda quindi col leghista Dreosto e insieme annunciamo di lavorare a una circolare che vieti il niqab “per gli uffici pubblici” e, aggiunge Dreosto: “Stiamo vedendo l’eventuale possibilità di estensione della norma alla scuola”.
Anche il segretario provinciale del Pd di Pordenone, Fausto Tomasello, bolla come “inaccettabile” fare indossare “il velo integrale a una bambina di dieci anni a scuola”. “Esprimiamo forte preoccupazione – aggiunge – per un episodio che rappresenta una discriminazione di genere e un rischio per il benessere psicologico e fisico delle bambine. La velatura delle bambine non c’entra nulla con la religione, è un atto di indottrinamento e di controllo che le condiziona fin dalla più giovane età, limitando pesantemente la loro possibilità di una partecipazione paritaria alla vita sociale”.
Sulla stessa linea la segretaria regionale Pd del Friuli Venezia Giulia, Caterina Conti, insegnate di professione, che evidenzia come “nascondere il volto delle donne, fin da bambine, significa togliere loro la dignità di persone, renderle ‘cose’ sottomesse alla potestà degli uomini. Ci sono acquisizioni di diritti femminili – continua Conti – che non possono essere messe in discussione. Si può ragionare su leggi che facciano chiarezza su fenomeni nuovi e in espansione, ma prioritario è il lavoro da fare sull’integrazione contro qualsiasi ghettizzazione, dove attecchisce l’integralismo”.
Fino dove può spingersi la libertà d’espressione?
Mauro Capozzella, coordinatore provinciale del M5s di Pordenone, chiede “politiche attive di integrazione e ascolto” perché “ogni persona deve avere la propria libertà di espressione e ogni imposizione non deve essere accettata, specie sui minori. Bene ha fatto la maestra e la scuola a risolvere il problema in collaborazione con la famiglia”.
Cosa dicono gli esponenti della comunità islamica?
A gettare acqua sul fuoco sono alcuni esponenti della comunità islamica di Pordenone. “Stiamo parlando – dicono – di un caso che sembra non esistere, frutto forse di un malinteso. Abbiamo letto di questa bimba che aveva il volto coperto a scuola, ma che la situazione si è risolta in pochi minuti. Non abbiamo commenti da fare anche perché la nostra religione ci rammenta che quel tipo di copricapo va indossato solo quando si è più grandi di età. Dunque, usarlo, in generale, non soltanto a scuola, per una bimba così piccola, era forse frutto di un errore di interpretazione dei genitori”.
La legge italiana si aggira facilmente
In Italia non esiste una legge che vieta l’utilizzo di un velo che copre il volto come il niqab o il burqa. La legge vieta “l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo”. Il dibattito ruota attorno a questa precisazione. C’è chi ritiene che la legge comprenda anche il velo e chi invece riconduce la religione al “giustificato motivo”.
Intanto però i dirigenti degli istituti comprensivi della città di Pordenone hanno chiesto agli insegnanti un report e sono state avviate delle verifiche sul caso specifico della bambina.
La direttrice generale dell’ufficio scolastico regionale Daniela Beltrame, pur ritenendo sul piano personale che i bambini in classe non debbano sentirsi discriminati, ha invitato la maestra a riconsiderare la propria decisione proprio perché in Italia non c’è un divieti specifico che riguarda il velo integrale nelle scuole. Davanti a una legge che di fatto ha delle lacune il dibattito è destinato a restare aperto.