Mettiamoci nei panni di una famiglia che perde un figlio di 15 anni, travolto mentre andava per i fatti suoi su una pista ciclabile. Alla guida dell’auto che ha falciato Giovanni Zanier non c’era uno di quei vigliacchi ubriachi che scappano come lepri, né la 103enne per strada senza patente per andare a giocare a burraco con le amiche.
Al volante sedeva una giovanotta di nome Julia Bravo (cognome quanto mai infausto), una soldatessa americana di 21 anni in servizio alla Base Usaf di Aviano.
Era il 21 agosto 2022. Julia Bravo investì Zanier lungo la pista ciclabile di Porcia, in provincia di Pordenone. Un colpo tremendo e addio Giovanni.
All’alcol test la militare risultò avere nel sangue un tasso di 2.09 grammi per litro, più di quattro volte il lecito. Nel tratto che stava percorrendo il limite era di 50 km orari: lei andava a 65. In prossimità di una rotonda, accelerò invece di frenare, sfondando la barriera e schiacciando Giovanni Zanier.
A suo parzialissimo favore, Julia Bravo si fermò e tentò di soccorrere il ragazzo. Non ci fu nulla da fare.
Mettiamoci nei panni di una famiglia che deve mandare giù una condanna a due anni e sei mesi, con sospensione della pena. Così ha deliberato il tribunale di Pordenone.
L’arma segreta degli avvocati di Julia Bravo per strappare una sentenza tanto mite è il ricovero in ospedale di Julia Bravo dopo l’incidente. Si è contestata la procedura dell’alcol test, eccependo che i prelievi di sangue sono stati fatti 135 minuti dopo il botto. E il giudice ha escluso l’aggravante della guida in stato di ebbrezza.
Signori della Corte, perdonateci, la logica parrebbe come minimo oscura. Se dopo oltre due ore Julia Bravo aveva ancora così tanto alcol in corpo, quanto ne poteva avere quando ha travolto Zanier? A meno che in ospedale non le abbiano dato vodka invece di farmaci.
Noi di Dillinger ravvediamo in questa bruttissima vicenda l’impunità di cui godono gli statunitensi in Italia. Ci sarebbero tanti precedenti, ma ci riserviamo di ricordare solo la strage del Cermis, nel 1998, quando un caccia dei Marines decollò proprio dalla base di Aviano per un’esercitazione a bassa quota. Il pilota, il capitano Richard Ashby, sbagliò una manovra tranciando i cavi di una funivia. Nella cabina precipitata al suolo c’erano 20 persone, nessun sopravvissuto.
In base alla Convenzione di Londra del 1951 sullo status dei militari Nato, il processo spettò al Paese d’appartenenza, gli Usa. Fu dimostrato che Ashby planò fino a 110 metri di altitudine, violando il limite di 305 metri circa. L’altimetro era rotto, piagnucolò il capitano in aula per poi dire di ignorare le restrizioni di velocità. A marzo 1999 fu assolto e così il navigatore Joseph Schweitzer, accusato di omicidio colposo.
Richiamati dinanzi alla Corte Marziale nel maggio seguente, furono degradati e rimossi dal servizio. Sei mesi al pilota, rilasciato dopo quattro mesi e mezzo per buona condotta.
Ai parenti delle vittime il Senato Usa riconobbe in un primo tempo un risarcimento di 40 milioni di dollari. Il Congresso respinse lo stanziamento. Tutto finì a carico della Provincia autonoma di Trento, che sborsò circa 50mila euro per ogni famiglia e si fece carico della ricostruzione della funivia.
Se possibile, il caso del povero Giovanni Zanier ci pare ancora peggiore. Perché il processo è stato celebrato in Italia. Ripassiamo il tormento di Chico Forti. Altro che gli america’ so’ forti, con buona pace di Alberto Sordi.