Nessuno dei medici che nella clinica privata Villa Margherita di Roma ha avuto in cura Andrea Purgatori è riuscito a comprendere davvero la patologia da cui era affetto: un’endocardite (infezione delle valvole cardiache) che conviveva con un tumore ai polmoni. Una semplice terapia antibiotica avrebbe potuto allungargli la vita. Lo rivela la consulenza richiesta dal pm Giorgio Orano sulla morte del giornalista, avvenuta il 19 luglio 2023.
Le cure riservate a Purgatori
Nella consulenza voluta dalla Procura, che, in seguito all’esposto della famiglia, ha indagato per omicidio colposo quattro medici curanti, si legge che il dottor Laudani, medico curante di Purgatori, “ometteva la prescrizione di accertamenti clinici, laboratoristici e strumentali finalizzati alla diagnosi di endocardite infettiva. Tali omissioni risultano a nostro avviso ascrivibili a imperizia e non rispondenti alle buone pratiche cliniche da noi individuate in letteratura”.
Purgatori, era stato inutilmente sottoposto a terapia anticoagulante, ma anche a radioterapia per aggredire ipotetiche metastasi cerebrali diagnosticate dal professor Gianfranco Gualdi. La catena di errori sarebbe cominciata addirittura un mese prima della morte del giornalista. Quindi, già a metà giugno dell’anno scorso, le sue condizioni sono cominciate a peggiorare a causa dell’infiammazione alle valvole cardiache. I cui sintomi sarebbero stati già abbastanza evidenti, ma hanno indotto in confusione i medici indagati. I quali, con la giusta solerzia e un’opportuna terapia antibiotica, avrebbero potuto salvare il paziente.
I periti Marsella e Mauriello indicano anche le procedure che si sarebbe dovuto mettere in atto per curare efficacemente Purgatori: “Sarebbe stato opportuno eseguire un set di emocolture e richiedere una consulenza infettivologica. Gli accertamenti indicati avrebbero potuto intercettare il patogeno responsabile degli eventi febbrili e dell’endocardite infettiva, con successiva richiesta di trasferimento in altra struttura”. Trasferimento che, di fatto, c’è stato, poiché il giornalista è stato portato anche al Policlinico Umberto I anche se era troppo tardi. “All’Umberto I, sostanzialmente con gli stessi elementi, i sanitari sin da subito ipotizzavano un’endocardite batterica e tempestivamente effettuavano gli accertamenti necessari a confermare la diagnosi”.
La famiglia, tramite l’avvocato Alessandro Gentiloni Silveri, commenta: “Ad Andrea sono state diagnosticate e curate con urgenza metastasi cerebrali che al momento della morte si è scoperto non esistere. E questo ha portato a uno sviamento della corretta diagnosi e terapia”.