“Semplifichiamo la vita delle persone con disabilità e delle loro famiglie, e poi ci sono due passaggi che sembrano banali ma sono importanti: l’eliminazione della parola ‘handicappato’ e ‘portatore di handicap’ da tutte le leggi ordinarie italiane. Un risultato che ci porta in una dimensione diversa della presa in carico: dall’assistenzialismo alla valorizzazione della persona con disabilità. Sostituiamo quei termini con ‘persona con disabilità e questo cambia la prospettiva anche per il futuro”.
Questo è quanto affermato dalla ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli parlando con i cronisti fuori da Palazzo Chigi al termine del Cdm.
Basta stuprare la lingua italiana
Ma in che modo la vita di una persona handicappata verrebbe semplificata da una proposta del genere? Si vive ormai nel secolo del vittimismo e del perbenismo, dove tutto è offensivo e non si può dire niente. Dove tutto è politicamente corretto e non si può fare una battuta. Dove la lingua italiana, per favorire delle minoranze, sia costretta a ricevere stupri continui. A partire dalla “schwa”, ovvero la “e” al contrario per non definire il genere di una parola. All’asterisco, usato per omettere l’ultima lettera di una parola per i medesimi motivi. E adesso addirittura la cancellazione definitiva di un vocabolo, anzi due.
In una democrazia il cittadino dovrebbe essere libero di dire e soprattutto parlare come vuole, sta poi alla coscienza, l’etica, la morale e il rispetto dell’interessato a regolarizzare il rapporto con gli altri. Ma non può esistere una legge in merito. Che sancisce cosa si può e cosa non si può dire. Soprattutto se si trovano all’interno del vocabolario della lingua italiana. Soprattutto se siamo ancora in una democrazia.