Illo tempore al liceo noi sessantenni tenevamo in cartella il Bignamino, breviario basilare per strappare un voto discreto all’ultimo momento. Col tempo è stato soppiantato dal Bignardino. Daria Bignardi, volto tv delle Invasioni barbariche ed ex direttora di Rai3, attualmente conta non conta molto.
Sfrutta la presentazione del suo ultimo libro Ogni prigione è un’isola per polemizzare con la Rai, nello specifico con la dipartita di Amadeus.
«Credo sia un segnale brutto, bruttissimo», sostiene la giornalista. «Non mi sembra bello per la Rai e per gli spettatori che i più bravi se ne vadano. Davvero un pessimo segnale».
È un peccato, perché il suo nuovo libro si concentra su drammi importanti. «Il carcere è come la giungla amazzonica, come un paese in guerra», spiega al teatro Franco Parenti. «Un’isola remota, un luogo estremo dove la sopravvivenza è la priorità e i sentimenti primari sono nitidi».
Daria Bignardi trent’anni fa è entrata per la prima volta in un carcere. Da allora le prigioni non ha mai smesso di frequentarle: ha collaborato con il giornale di San Vittore, portato in tv le sue conversazioni coi carcerati, accompagnato sua figlia di tre mesi in parlatorio a conoscere il nonno recluso, è rimasta in contatto con molti detenuti ed è tuttora un “articolo 78”, autorizzata cioè a collaborare alle attività culturali che si svolgono in carcere.