Prodi non è molto contento della candidatura della segretaria
Elly Schlein si conferma: correrà alle europee come capolista nelle circoscrizioni Centro e Isole. Ma la scelta non è andata proprio giù a Romano Prodi: «Non mi dà retta nessuno» – ha detto – chiedere il voto e poi non fare l’europarlamentare provoca «ferite alla democrazia che scavano un fosso. Vale per Meloni, Schlein, Tajani e tutti gli altri».
Duro anche il papabile alleato di campo largo: «Per noi del M5s – ha detto Giuseppe Conte – è una presa in giro dei cittadini. Non è una questione di Schlein, ma anche di Meloni e degli altri leader».
Tensione palpabile
Al Nazareno, il clima era già piuttosto teso, per la proposta del presidente del partito Stefano Bonaccini di inserire il nome della segretaria nel simbolo per le europee. Un’ipotesi che ha creato divisioni sia nella maggioranza del Pd sia nella stessa minoranza guidata proprio da Bonaccini. Menomale è arrivato il dietrofront dalla Schlein.
Senza troppi problemi, invece, il via libera ai candidati: i capolista sono Schlein al Centro e nelle Isole, la figlia del fondatore di Emergency Cecilia Strada al Nord ovest, Bonaccini al Nord est e la giornalista Lucia Annunziata al Sud.
Tutti contro il nome sul simbolo
In direzione, il tema spinoso è stato quello del nome della segretaria nel simbolo. «Non sono dell’avviso che possa funzionare un modello di partito leaderistico», ha detto Peppe Provenzano, che ha sostenuto Schlein al congresso. Fra le minoranze, critico Gianni Cuperlo: «Una scelta non necessaria». Contrari anche diversi esponenti di Energia popolare, l’area di Bonaccini. I loro interventi sono stati letti da molti anche come espressione di una polemica montante verso la leadership interna del presidente. Quella del nome nel simbolo “è una proposta che spacca il partito», ha detto Annamaria Furlan.
In difesa di Schlein, il capogruppo al Senato, Francesco Boccia: «Penso che il nome della segretaria nel simbolo serva a confrontarsi con Giorgia Meloni e a garantire quel valore aggiunto che tutti riconoscono» a Schlein. La candidatura della segretaria ha alimentato un altro capitolo di polemica col M5s. Correre «per acquisire qualche voto in più per noi è impensabile – ha detto Conte – Io non sarà candidato e il mio nome non sarà nel simbolo».
Il dietrofront della Schlein
«O mi candido ovunque o mettiamo il mio nome nel simbolo del Pd». Questo, più o meno, l’aut aut della segretaria Elly Schlein lanciato ai dem riuniti domenica in direzione per l’approvazione delle liste per le europee. Poi, a urne chiuse in Basilicata, la retromarcia via Instagram: non ci sarà il nome della leader nel simbolo e non ci sarà la sua candidatura ovunque ma solo, come capolista, nel Centro e nelle Isole.
Ma come mai la segretaria dem è stata a un passo dal compiere una scelta così di rottura rispetto alla tradizione del Pd?
Sicuramente ha pesato la tempesta giudiziaria che si è abbattutta sul partito barese e pugliese, con le inchieste su voto di scambio e corruzione che hanno toccato la giunta comunale e soprattutto quella regionale guidata da Michele Emiliano. Ossia uno dei “cacicchi” a cui la segretaria venuta dai movimenti e fino al momento delle primarie non iscritta al Pd aveva giurato guerra durante la campagna congressuale.
Elly ma quanto sei incoerente?
In questo modo però Schlein si è esposta non solo alle critiche del fondatore dell’Ulivo e prima tessera del Pd Romano Prodi, ma – paradosalmente – anche al ribaltamento delle sue stesse critiche contro l’eccessiva personalizzazione della politica. Schlein ha sempre contrapposto il Pd come “comunità” ai partiti personali della destra e ha sempre usato il “noi” al posto dell’”io” per distingersi dalla stagione renziana, ma perfino Matteo Renzi non ha mai ha imposto il suo nome nel simbolo del Pd quando ne era il segretario.
L’avvertimento in corner di Annunziata
A questa contraddizione se ne aggiunge un’altra, più sottile ma non meno insidiosa: evidentemente Schlein, che spera di superare indenne le europee anche grazie al suo personale apporto, punta già da ora a personalizzare lo scontro con Meloni per le future elezioni politiche del 2027. Un corpo a corpo tra due candidate premier che mal si sposa con la feroce opposizione che il Pd, proprio su input di Schlein, sta facendo in Senato contro il premierato targato centrodestra.
Mettere il nome nel simbolo avrebbe implicato l’accettazione del modello, come correttamente ha avvertito in corner Annunziata, mettendo «a disposizione» il suo nome in lista. «Il nome nel simbolo è la trasformazione del Pd in un partito personale proprio nel momento in cui la maggioranza ha presentato una riforma, il premierato, che distrugge l’attuale assetto costituzionale. La scelta del nome nel simbolo mette il Pd sulla strada dell’accettazione dello stesso modello. Su molte cose in un partito si può mediare ma non su questioni di questo rilievo».
La questione del nome sul simbolo è solo segno di grande paura
La confusa gestione della candidatura della Schlein e anche la questione del suo nome nel simbolo mostrano quantomeno un’incertezza dettata dalla paura: quella di non superare la soglia psicologica del 20%, stretta tra le critiche a tutto campo di Conte (questione morale e pacifismo) e la competizione delle liste al centro (Azione e quella appena varata da Emma Bonino e Matteo Renzi, Stati Uniti d’Europa) e a sinistra (Verdi/Sinistra italiana, che hanno scippato proprio a Schlein la candidatura di Ilaria Salis). Una cosa è certa: per la giovane segretaria del Pd venuta dai movimenti quella dell’8 e 9 giugno è la battaglia della vita. In bocca a lupo Elly.