Massimo Bernardini il 25 maggio condurrà l’ultima puntata di Tv Talk, storico programma di “metatelevisione” – analisi dei contenuti con i protagonisti del piccolo schermo – in onda il sabato pomeriggio su Rai3. «Innanzitutto perché a luglio compirò 69 anni. Da quando ne ho 67 sono pensionato. Poi perché sono convinto che lasciare un programma al massimo del successo, e non quando comincia a traballare, sia la cosa più giusta da fare. Infine, sento che è doveroso, per quelli della mia generazione, passare la mano a quelli più giovani».
«La prima stagione di Il grande talk (titolo che rivendico), nel 2001, fu l’unica ad andare in onda solo su Sat 2000, televisione di proprietà della Cei», rievoca Bernardini. «Dalla seconda stagione proposi l’alleanza fra Sat 2000 e la Raieducational di Giovanni Minoli, che lo metteva in onda in prima visione alle 07:00 del sabato su Raitre.
Quindi siamo in onda su Rai3, prima con quel format e poi negli ultimi 18 anni con Tv Talk, da 22 stagioni ininterrotte. Secondo me la Cei sbagliò a rompere l’alleanza con la Rai di Minoli (cui personalmente e come squadra dobbiamo tutto, in termini di “svezzamento” alla tv)».
Massimo Bernardini non si sente però ancora pensionato: «No, mi prendo una pausa. Poi, se a qualcuno in Rai o sul mercato interesserà, proverò a dedicarmi ai pochi progetti editoriali e audiovisivi, quantitativamente meno impegnativi, che da tempo ho nel cassetto. Se invece non succederà niente vorrà dire che sarà venuto il momento di ritirarmi “a vita privata”».
Bernardini ha creato e portato avanti il progetto (nato da un’idea di Paolo Taggi, 23 anni fa) che ha fatto conquistare a Tv Talk «una media dell’8,4% con quasi 1 milione di telespettatori, risultando il programma più visto dell’intero palinsesto del sabato di Raitre, prima serata compresa; tg a parte».
«Tv Talk ovviamente continuerà», rassicura Bernardini. «I dirigenti Rai stanno pensando al futuro del programma. Chi mi sostituirà? Non ne ho idea. Mi piacerebbe fosse una donna, una giovane conduttrice più brava di me, che mantenesse qualcosa della mia passione giornalistica. E che il talk restasse a Milano, visto che è nato qui».
Bernardini spiega la formula del programma, di notevole qualità: «È uno spazio di riflessione critica sulla Tv, fatto insieme ai suoi protagonisti. So bene che farlo con loro depotenzia una certa “vis” polemica, e infatti l’idea iniziale dell’ottimo autore tv Paolo Taggi, ahimè prematuramente scomparso, non lo prevedeva.
«Il modello cui si ispirava era Talk Soup del canale Usa via cavo Entertainement Television della NBC, in onda dal ’91 al 2002 e vincitore nel ’95 di un Emmy, condotto da un comico, all’inizio Greg Kinnear, che commentava causticamente frammenti della settimana tv davanti a un teleschermo.
«Taggi ebbe l’idea iniziale: “ripassare” la settimana Tv attraverso un conduttore che utilizzasse l’analisi dei giovani universitari cui insegnava. Ma poi fu preso da altri impegni televisivi e toccò a me di definire, insieme a un giovane gruppo di lavoro, il format del programma: gli universitari in studio come pubblico parlante e pensante; la presenza di un critico Tv e di uno studioso di mass media; il dibattito libero sul programma; l’invito a intervenire al protagonista del programma analizzato, che da subito fu accettato.
«Ma fu una scelta che generò inevitabilmente anche un cambio di clima: se fai il “libero picchiatore” te la suoni e te la canti; se dialoghi coi protagonisti rinunci agli “schiaffi” ma forse ottieni qualcosa in più nel racconto sul suo mestiere. Comunque raramente (nessuno è perfetto) abbiamo nascosto critiche o dati di ascolto. Magari li abbiamo attenuati, mettendo in luce gli aspetti controversi, più che negativi, di un programma.
«A chi mi/ci rimprovera di fare sempre il “pompiere” sulle critiche a un programma o ad un ospite (specie se assente), vorrei far notare un semplice dettaglio drammaturgico: se io esprimo un giudizio più benevolo rispetto a quello dei nostri polemisti, resta il fatto che a Tv Talk le posizioni critiche forti si possono esprimere.
«Infatti dopo 23 anni ogni tanto mi arrivano ancora le rampogne a posteriori di qualcuno o gli aut aut di rifiuto di questo o quel nostro opinionista da parte di potenziali ospiti. Che fare? Rinunciare a un ospite importante o a una polemica? Io faccio quello che farebbe ogni giornalista che ha anche la mission di privilegiare il pubblico generalista, che mi pare più interessato all’ospite che al polemista.
«Va poi tenuto presente che da quando ci hanno spostati nella fascia ben più competitiva del sabato pomeriggio, abbiamo dovuto rinunciare a certe tecnicalità da addetti ai lavori che funzionavano coi nostri 500.000 telespettatori del mattino, ma mettevano in fuga una parte del milione di telespettatori conquistati alle 15 del pomeriggio»
Massimo Bernardini conclude tirando le fila della sua ventennale esperienza: «Oggi so che dietro e dentro a un buon programma come a un cattivo programma c’è lo stesso lavoro, lo stesso tentativo appassionato. Poi si azzeccano o si sbagliano i contenuti, la scaletta, i toni, il rapporto col pubblico o magari il momento, la stagione, la fascia oraria.
«In fondo se ci riflettiamo la Tv che funziona, cui il pubblico si affeziona, è sostanzialmente “media”: né troppo colta né troppo volgare, persegue un patto onesto col telespettatore. Questo cambia inevitabilmente l’approccio nel giudicarla, mentre spesso le polemiche giornalistiche infuocate verso i programmi o sono strumentali o mancano di vera conoscenza del mezzo, infatti sopravvalutano o sottovalutano questo o quell’aspetto. Ma alla fine la Tv realmente popolare non ne è mai realmente toccata: continua serenamente a onorare la sua relazione col pubblico».