L’ex produttore cinematografico Harvey Weinstein segna un punto a suo favore nella lunga battaglia giudiziaria contro l’accusa di essere uno stupratore seriale.
L’uomo che fin dal debutto con Le iene ha investito sul regista Quentin Tarantino è il perno dell’insorgenza del movimento #metoo, nel 2017. Focalizzato sulle denunce di molte attrici, che hanno sostenuto di essere state molestate sessualmente (tra le più battagliere, Asia Argento), in breve tempo ha catalizzato l’adesione di milioni di donne in tutto il mondo.
Ma adesso la Corte d’appello di New York ha revocato una delle condanne per crimini sessuali: come spiega il Corriere della Sera i giudici, in maggioranza donne, hanno deciso (4 contro 3) che il magistrato James Burke nel 2020 fece un errore cruciale, consentendo ai procuratori di chiamare a testimoniare alcune donne senza però che le loro storie facessero parte dei capi di imputazione.
Lauren Young, Dawn Dunning e Tarale Wulff avevano testimoniato sui loro incontri con Weinstein in base a una legge statale che consente di parlare in tribunale di “precedenti atti negativi”, per mostrarne la consistenza nel tempo.
Ma la Corte d’appello ha stabilito che «nel nostro sistema di giustizia, l’accusato ha il diritto di essere considerato responsabile solo del crimine di cui è accusato». Inoltre, il giudice Burke aveva consentito ai procuratori – nel caso in cui Weinstein avesse deciso di testimoniare – di interrogarlo su accuse risalenti a quarant’anni prima, ma non formalizzate (i litigi con il fratello produttore, gli attacchi di rabbia che lo portavano a rovesciare tavoli e insultare camerieri): il che lo convinse a non testimoniare e, secondo i suoi avvocati, penalizzò la sua possibilità di difendersi.
La corte ha concluso che Weinstein non ha ricevuto un processo equo, poiché giudicato non solo per i suoi presunti crimini ma anche per i suoi comportamenti passati.
Adesso toccherà al procuratore distrettuale di Manhattan Alvin L. Bragg – lo stesso che ha incriminato Trump per i pagamenti alla pornostar Stormy Daniels – decidere se processare di nuovo Weinstein, che fu condannato peraltro esattamente nella stessa aula 1530 in cui si tiene in questi giorni il processo all’ex presidente (seduto esattamente allo stesso posto).
L’avvocato di Weinstein, Arthur Aidala, ha dichiarato: «Questa non è solo una vittoria per Weinstein, ma per ogni imputato in un processo penale nello Stato di New York». Ma il suo assistito non verrà liberato, verrà trasferito invece in un carcere in California dove il 20 maggio il produttore farà appello per ottenere la revoca della sua condanna, come ha confermato la sua avvocata Jennifer Bonjean, osservando che il verdetto di oggi sul ricorso a New York rafforzerà la posizione del suo cliente: «I giurati erano rimasti sopraffatti dalle prove sul suo cattivo carattere, prove che non erano legittime e che, a nostro avviso, hanno inficiato l’intero processo in California»
Il produttore di Hollywood, oggi 72enne, è attualmente rinchiuso in un carcere di Rome, nello Stato di New York, la Mohawk Correctional Facility. Ha continuato a proclamarsi innocente e afferma che quei rapporti sessuali erano sempre consensuali.
Ma anche se questa sentenza a 23 anni di carcere (per aver costretto una assistente a sesso orale nel 2006 e per stupro di terzo grado di una aspirante attrice nel 2013) dovrà essere riesaminata, resta in vigore quella emessa contro di lui da un tribunale di Los Angeles: nel 2022 è stato condannato a 16 anni di carcere per aver stuprato una donna in un hotel di Beverly Hills.
La revoca della sentenza di New York riapre un capitolo complicato della questione delle violenze sessuali e del modo in cui punire i responsabili. Le sue accusatrici potrebbero dover tornare nuovamente a testimoniare.
L’attrice Ashley Judd, una delle tante che hanno parlato delle molestie subite da Weinstein, ha detto al New York Times che la decisione è «ingiusta nei confronti delle sopravvissute. Ma noi viviamo nella verità, sappiamo cosa è successo».
La giudice Madeleine Singas, in una opinione dissenziente con quella principale scritta dalla giudice Jenny Rivera, ha affermato che la decisione della Corte d’appello di New York si muove «sull’inquietante scia di giurie che revocano verdetti di colpevolezza in casi sulla violenza sessuale».
È la seconda volta che negli ultimi due anni #MeToo subisce una pesante sconfitta in tribunale, dopo che la Corte suprema ha rifiutato di ascoltare in appello la decisione di una corte della Pennsylvania che annullava la condanna di Bill Cosby per aggressione sessuale.
Intanto la sentenza di New York contro Weinstein, elogiata dagli attivisti, era diventata oggetto di dibattito tra i giuristi. Nella Corte d’appello di New York, la governatrice Kathy Hochul si è preoccupata di nominare giudici che hanno come priorità la difesa dei diritti degli imputati.