A poche settimane dal declassamento arrivato da Reporter sans frontieres, che quest’anno colloca l’Italia fra i Paesi “problematici”, nuovi segnali suggeriscono che il mondo dell’informazione è in delirio totale. Dopo il caso Rai, con lo sciopero in parte sabotato da un sindacato di nuovo conio e assai vicino al governo, la storia si ripete identico all’agenzia Dire.
Le contestazioni disciplinari
Le contestazioni disciplinari non tardano ad arrivare e piombano esattamente la mattina dello sciopero. Settori mandati avanti a forza di lanci firmati ‘redazione’ mentre i giornalisti restano a braccia conserte. “Il metodo Rai” si mastica amaro nei corridoi dell’agenzia Dire, che ieri hanno fermato le attività dell’agenzia – o almeno hanno tentato – per protestare contro gli ennesimi “esuberi”.
Redattori e grafici lasciati a casa
Dopo i redattori lasciati a casa il 28 dicembre, l’azienda ha annunciato che anche sette grafici sono diventati di troppo. Questione di budget, la spiegazione ufficiale, a dispetto dei 2 milioni di euro di contributo pubblico all’editoria e della “campagna acquisti” degli ultimi mesi, che ha fatto approdare in redazione Davide Vecchi, ex del Tempo da aprile affianca il direttore Nico Perrone in qualità di “direttore editoriale” incaricato di “rinnovare l’offerta di servizi”.
“Se la coperta è corta, lo è per tutti”
“Se la coperta è corta, lo è per tutti”, tuonano i giornalisti, che si sono schierati a sostegno dei grafici e ancora chiedono il reintegro dei colleghi lasciati a casa a dicembre. La mattina stessa dello sciopero, il colpo di grazia. Tutti i redattori hanno ricevuto una contestazione disciplinare per avere superato le 10 ore annuali consentite di assemblea. Una mail di poche righe arrivata a tutti, incluso a chi quel giorno era in malattia o impegnato in particolari servizi, e all’assemblea non ha partecipato.
Interviene il sindacato
“Un tentativo maldestro di spaventare i giornalisti inducendoli a non partecipare allo sciopero”, tuona la Fnsi. “È l’ennesimo attacco ai giornalisti della Dire che dopo i licenziamenti illegittimi di dicembre, le sospensioni illegali dal lavoro di gennaio, gli stipendi pagati a singhiozzo da anni, finiscono ancora una volta sotto attacco da parte dell’editore Stefano Valore”, sottolinea il sindacato che sollecita “con urgenza” un intervento del dipartimento dell’editoria.
Arriva la sfiducia alla direttrice Rita Lofano
E nuovi scossoni arrivano dall’Agi,la seconda agenzia italiana storicamente in mano a Eni, dove i giornalisti da mesi sono in stato di agitazione contro la cessione al gruppo del deputato leghista Antonio Angelucci. Le mire dell’imprenditore – già proprietario di Libero, Il Giornale e Il Tempo e grande ras della sanità privata – hanno destato non poca preoccupazione in Europa e sono una delle ragioni del declassamento deciso da Rsf. A preoccupare oltreconfine non è semplicemente la concentrazione mediatica in mano ad un deputato di maggioranza, ma l’atteggiamento del governo. All’operazione, l’esecutivo – nello specifico, il leghista Giancarlo Giorgetti titolare del ministero che di Eni è controllore – non ha fatto nulla per opporsi.
Contro la manovra imprenditoriale, da tempo i cronisti di Agi da tempo protestano, incluso contro chi all’interno della redazione l’avrebbe supportata. Arriva per questo la sfiducia alla direttrice Rita Lofano con voto schiacciante della redazione.
Un ultimo atto, si legge nella nota del cdr, a cui “dopo un anno scandito da un crescente deterioramento del clima redazionale a cui si è aggiunta la difficoltà nell’instaurare anche le minime relazioni sindacali”. E se maretta c’era stata già l’estate scorsa con la bocciatura del piano editoriale presentato dalla direttrice la scorsa estate, “nel corso dei mesi la situazione è ulteriormente peggiorata, anche a seguito delle ricorrenti notizie circa la vendita dell’Agi al gruppo editoriale che fa riferimento a un parlamentare della maggioranza, ipotesi contro cui la redazione si sta battendo a difesa dei livelli occupazionali e dell’autonomia e indipendenza dell’agenzia”.