Lunedì 20 maggio, Città del Vaticano. Il consesso di vescovi italiani ammutolisce, poi qualcuno ridacchia sotto i baffi, altri sgranano il rosario. Papa Francesco ha appena detto: «Nei seminari c’è già troppa frociaggine».
È in corso l’assemblea generale, a porte chiuse. Quindi, la prima notizia senza precedenti è che un alto prelato, nell’anonimato, ha spifferato questa gaffe, certamente non tra i sostenitori di Bergoglio.
Ovviamente il pontefice sudamericano non si pronuncia sull’incidente. Come professava la regina Elisabetta II, “never complain, never explain” (mai lamentarsi, mai dare spiegazioni). Meglio procedere con i lavori dell’assemblea, riunita per valutare i termini dell’ammissione al sacerdozio di candidati seminaristi omosessuali.
La linea, finora, è sempre stata quella tracciata nel 2005 da una «Istruzione» vaticana «circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali»: si dice che non possono essere ammessi «coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay».
La Cei ha approvato a novembre, nell’assemblea di Assisi, un testo per l’ammissione ai seminari, Ratio formationis sacerdotalis, ancora non pubblicato perché si attende il via libera della Santa Sede. Tra gli emendamenti, approvato a maggioranza ma tra parecchie polemiche, uno che distingue tra il semplice orientamento omosessuale e le «tendenze profondamente radicate», con spirito di maggiore apertura. Il problema non sarebbe la tendenza ma la pratica, gli «atti».
Il voto di castità
Quindi, un “frocio” (seguendo la gaffe papale) può essere ammesso se ha fatto «una scelta seria» di castità. È a questo punto che Francesco, quando gliene hanno parlato, se ne è uscito con quello che appare un «no» radicale. Non si è però colto con chiarezza fino a che punto lo stop del Papa sia categorico o limitato a chi non è riuscito a tener saldo l’impegno alla castità.
Prevedibilmente è partita la contestazione delle associazioni per i diritti Lgbtq. Alcuni vescovi hanno spiegato al Corriere della Sera che la boutade del Pontefice ha suscitato qualche risata incredula, più che imbarazzo, tanto era evidente la gaffe.
Gaffe non voluta
L’italiano non è la lingua madre di Bergoglio, nella sua infanzia in famiglia parlavano più che altro il piemontese, il Santo Padre non era consapevole di quanto nella nostra lingua l’epiteto “frociaggine” sia greve e offensivo.
Il quadro politico si è espresso in modalità opposte: «E chi mi dava dell’omofobo?», sibila il generale Roberto Vannacci, candidato con la Lega. «Non c’è troppa frociaggine, ma troppi omofobi», commenta l’esponente del Pd Alessandro Zan.