Un’indagine di Upa e Polimi ha testato i grandi investitori pubblicitari italiani: sei su dieci hanno spostato i budget dalle celebrities con milioni e milioni di follower verso figure più di nicchia. Ecco come stanno cambiando le strategie di marketing
Addio ai colossi social da decine e decine di milioni di follower che mostrano una vita perfetta molto distante dalla realtà quotidiana degli utenti. La strategia rivoluzionaria consiste nella semplicità, nell’autenticità, nella tranquilla vita familiare. Questo è quanto afferma un giovane papà con un libro in mano intento a raccontare la favola della buonanotte alla propria figlia. Un viaggio da una stanza di pochi metri quadrati che però arriva ad abbracciare il mondo intero. È la nuova campagna di Air New Zeland, vettore neozelandese da quasi novemila dipendenti.
Non basta più la storiella su Instagram leggendo a stenti un messaggio scritto sotto. Alle marche serve incrementare la percezione di valore col consumatore, ovvero un rapporto bilaterale sempre più stretto. È la customer intimacy, quell’area che misura la consapevolezza e l’allineamento con i bisogni e i valori che va oltre il semplice postare, parlare, chattare. «Non puoi essere incentrato sul cliente senza coltivare l’intimità del cliente», ha scritto l’Harvard Business Review, definendo la complicità col cliente una disciplina di valore.
Anche di questo parla Branding e-volution 2024, ricerca promossa dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Upa (Utenti Pubblicità Associati). Una visione strategica sulla customer intimacy. «La costruzione del vantaggio competitivo per un’impresa da sempre passa per la progettazione di un efficace sistema di interazioni con il mercato e da un attento monitoraggio della qualità di tali interazioni e relazioni. La vera sfida diventa quella di acquisire, soddisfare e trattenere nel tempo i clienti di oggi.
Questi stanno modificando le proprie modalità di interazione e approccio alla marca e stanno trasferendo le proprie aspettative in modo indistinto rispetto al prodotto o servizio offerto dalla marca trasversalmente ai settori di riferimento. Il perseguimento della customer intimacy è l’approccio strategico per costruire relazioni durature e redditizie con il mercato, essendo profondamente radicata nella comprensione e nell’allineamento con i bisogni, i desideri, i valori e le aspettative dei clienti», racconta Giuliano Noci, professore di strategie e marketing al Politecnico di Milano.
Cosa è emerso dall’indagine
Dalla ricerca presentata in anteprima sul Sole24Ore – il campione è costituito da 120 big spender in pubblicità – emerge sì un ruolo attivo della marca rispetto alle sfide del marketing moderno, ma anche la difficoltà a fare un salto di qualità sul monitoraggio delle performance. Insomma, c’è sì interesse sulle nuove frontiere della creator economy, persino investimenti più mirati sull’adozione di modelli spinti dall’intelligenza artificiale, ma sul fronte Advanced TV e relativi monitoraggi di strategie transmediali si resta parzialmente ancorati al palo per svariate ragioni.
Per il 79% dei casi le aziende rappresentano un baluardo sulle tematiche sociali e un punto di riferimento per azioni di brand purpose. Il 64% ne parla in un’area dedicata sul sito web aziendale, mentre per il 47% degli intervistati la veicolazione avviene in campagne commerciali con la scelta delle materie prime, l’origine del prodotto, l’adozione del packaging. Per rendere ancora più forte il rapporto esistente tra brand e consumatore è diventato centrale il ruolo delle aziende come attivatrici e promotrici del cambiamento nella società. Dalla ricerca condotta emerge che, rispetto a specifiche tematiche sociali e in un contesto in cui i livelli di fiducia nelle istituzioni sono in diminuzione, i brand sono sempre più considerati come un effettivo nuovo punto di riferimento per l’attivazione di azioni più incisive.
Il fallimento degli influencer e la partita complessa con l’AI
Anche le ultime vicende di cronaca legate agli influencer per più della metà delle marche intervistate hanno spostato i budget dalle grandi figure con decine di milioni di follower verso micro creator. Una considerazione verso quegli influencer della porta accanto più verticali, più tematici, più autentici e persino più economici. Questo spostamento della lente ha riguardato il 58% del campione che si dice abbastanza o totalmente d’accordo. «Rispetto al passato l’influencer marketing viene utilizzato maggiormente per obiettivi di middle funnel come il miglioramento dell’engagement e il raggiungimento di nuovi segmenti di consumatori. Ne emerge quindi un quadro in cui i brand privilegiano più un tema di qualità del creator che di quantità», dice Noci. «Le strategie di marketing e comunicazione si stanno orientando verso l’ibridazione di branding e performance. Intanto gli influencer, come la televisione e i social, non si estinguono, bensì si trasformano e si adattano a modelli di comunicazione e di business.
C’è poi la questione intelligenza artificiale che diventa più complicata da giocare quando in campo incontra l’adv. Per il 52% del campione si va verso l’implementazione di Ai generativa per l’ideazione di contenuti testuali, immagini o video per una campagna, verso la segmentazione e il targeting delle audience per il 44%, verso l’ottimizzazione nei processi aziendali interni per il 41%. E c’è anche un quarto del campione che adotta l’Ai per riconoscere trend emergenti. Il tasto dolente è legato ai sistemi di misurazione. Certo, analytics per i mezzi digitali è adottato dal 79% delle aziende intervistate, ma l’Advanced Tv – ossia ogni singola estensione della televisione tradizionale che aggiunge contenuti editoriali e pubblicitari – resta ancora terreno parzialmente inesplorato.