Antonello Venditti, alla vigilia del lancio del suo disco «Cuore 40th Anniversary Edition» le spara davvero grosse. Prima tira in ballo il povero Lucio Dalla, che ovviamente non può smentire, poi “ci delizia” con le sue doti da veggente
Sensazionale risveglio di Antonello Venditti dal torpore professionale degli ultimi anni, se si eccettuano un tour con Francesco De Gregori e un paio di apparizioni in tv in veste di commentatore politico. L’episodio è avvenuto «spintaneamente» durante un’intervista al Corriere della Sera.
Il diversamente-compagno Antonello, mentre veniva intervistato per promuovere il lancio del nuovo disco «Cuore 40th Anniversary Edition» lancia subito la prima «bomba». E così si scopre che «Ci vorrebbe un amico» è dedicata al compianto Lucio Dalla.
«Lucio mi salvò la vita, al tempo della mia separazione. Fu lui a capire che mi dovevo allontanare da Roma, e così per due anni vissi al castello di Carimate, in Brianza, dove venivano i più grandi artisti italiani a incidere i loro dischi. Pino Daniele, i Pooh, Fabrizio De André.»
Che l’artista bolognese in passato fosse amico di Venditti è noto, tuttavia non capiamo l’opportunità di ricordare questo episodio solo a morte avvenuta di Lucio, così che non possa neanche smentire o banalmente ridimensionare, quella che appare come una trovata sensazionalistica, per creare rumors alla vigilia di un lancio di un disco. Antonè, ma vale la pena, dopo una carriera così ben costruita, andare a citare certi episodi? Se fosse vero, perché non ce lo hai detto prima?
“ENTRAVO IN UN POSTO E DOVEVO USCIRE”, “LAPALISSIENO” DIREBBE LINO BANFI
Noi di DILLINGER restiamo stupiti dal livello di banalità perché consideriamo Venditti un artista molto bravo, anche se, come molti suoi amici sinistrorsi, rischiano di diventare ridicoli quando si dichiarano militanti, ma col portafogli pieno di contanti.
Ma ecco che l’intervista ci regala altre perle di saggezza.
Infatti, l’Antonello nazionale inciampa in un’impervia supercazzola: «Entravo in un posto e dovevo uscire. Tutto mi faceva paura.» A quel punto anche l’intervistatore, basito da cotanto ermetismo osa chiedere «Paura di cosa?» «Paura di me stesso. Della mia fragilità. E anche di salire sul palco. Paura di non essere amato. Più volte pensai di farla finita. Magari schiantandomi in macchina. Poi temevo di far del male agli altri. Avrei potuto centrare un albero.» Per un attimo proviamo empatia per quei sentimenti, per quella persona in quel momento difficile, ma poi, come al solito, a risvegliarci ci pensa la scarsa considerazione che il cantautore ha di sé e che prende il sopravvento: «Ma guidavo troppo bene.»
“MA CHE, DAVÈRO, ANTONÈ?”
Il momento più alto dell’intervista arriva quando l’effetto pentothal è all’apice e cioè quando il vecchio Core de Roma afferma: «Mi accorgo di cose di cui altri non si accorgono. Ero a Parigi con la mia compagna, che può confermarglielo. Mi sveglio e dico solo due parole: Terremoto… L’Aquila. Lo stesso mi è accaduto prima del terremoto di Amatrice. Il 29 novembre 2019 dissi che ci sarebbe stato un fatto immenso, inaudito, a livello mondiale: era il Covid».
A prescindere dal fatto che fossi in lui dedicherei parte delle energie non solo alla musica e alla scrittura, ma anche alla sondaggistica e alla chiaroveggenza. Tuttavia qui devo rivolgere un appello diretto al Presidente Meloni: Lei che ha il carisma, lo convinca per coinvolgerlo in un ruolo strategico presso l’INGV. Una volta che ci appare un talento vero, mica lo buttiamo via…
Di Vincenzo Pezzarossa