Giorgia Meloni, molto più che «quella stronza» (per sua stessa autoironica voce), si dimostra «quella scaltra». Assesta una mossa decisiva agli sgoccioli della campagna elettorale: la decisione di archiviare la legge Bossi-Fini sull’immigrazione.
In vigore dal 2002, «ha generato storture nei flussi di regolari e irregolari». Carta migliore da calare sul tavolo non poteva trovarla: opposizioni spiazzate.
La Bossi-Fini è stata la più importante norma voluta dalla Lega Nord e dal suo fondatore, oltre che il segno di una coincidenza di vedute tra Silvio Berlusconi e il fondatore di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini, oggi forzatamente ai margini della vita politica per una condanna in primo grado.
È stata promulgata il 30 luglio 2002, durante il governo Berlusconi II, in sostituzione della precedente legge Turco-Napolitano. In quel momento, Bossi era ministro per le Riforme Istituzionali e la Devoluzione; Fini, vicepresidente del Consiglio dei ministri.
La chiave della Bossi-Fini era l’espulsione degli immigrati irregolari, senza permesso di soggiorno e senza validi documenti d’identità, seguita dall’accompagnamento alla frontiera del clandestino. Stabiliva inoltre che permesso di soggiorno venisse concesso solo con certificato di lavoro e per un tempo limitato a dodici mesi, poi ridotti a sei.
Le critiche della premier
In un’informativa al Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni avrebbe denunciato che allo stato attuale «i flussi regolari di immigrati per ragioni di lavoro vengono utilizzati come canale ulteriore di immigrazione irregolare. Con il Gruppo tecnico di lavoro abbiamo fatto una ricognizione solo sui due decreti flussi varati da noi, ma è ragionevole ritenere che le stesse degenerazioni si trascinassero da anni e mi stupisce che nessuno se ne sia reso conto».
«Noi», annuncia Meloni, «modificheremo i tratti operativi che hanno portato a queste storture, e lo faremo nel rispetto del principio che ispirò la legge Bossi-Fini che ha regolamentato il fenomeno in questi anni, cioè consentire l’ingresso in Italia solo a chi è titolare di un contratto di lavoro».
Appuntamento al dopo G7
La prima Ministra non ha fretta, sa che la sua mossa ha un potentissimo impatto sulla campagna elettorale, dribblando sia gli alleati di governo, sia le opposizioni. «Ci sarà un duplice livello di intervento, normativo e amministrativo. Quindi vi annuncio che stiamo lavorando perché in uno dei primi Cdm che terremo dopo il G7 (13-15 giugno, ndr) si presenti, con la collaborazione di tutti i Ministeri competenti, un articolato ampio e dettagliato per risolvere questo problema».
È evidente che l’intervento a gamba tesa della premier imbarazzi Salvini, forse anche Forza Italia (che ha pescato dal bacino di voti di Alleanza Nazionale fin dalla “discesa in campo” di Berlusconi) e certamente le sinistre. Impossibilitate a fare scudo a una legge architettata dal “leghista di tutti i leghisti” e da un ex fascista. Oltretutto, impreparata a presentare un’alternativa sul tema dell’immigrazione e su quella legge ultraventennale. C’è la proposta di legge di iniziativa popolare della campagna “Ero straniero”, promossa tra gli altri da Radicali Italiani, A Buon Diritto, ActionAid Italia, Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione), Centro Astalli, Federazione Chiese Evangeliche, Oxfam, Acli e Arci. Elly Schlein l’ha approvata, ma non può rivendicarne la maternità.