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Il Belpaese del bracciante che perse un braccio e crepò come un cane

Satnam Singh, morto a 31 anni per un incidente sul lavoro nell'azienda Lovato, a Bainsizza (Latina) . Fonte: Web - Dillingernews.it

«È soltanto il momento che tutti ci rendiamo conto di cosa siamo e di cosa è diventato il nostro Paese». Il direttore Enrico Mentana condanna le condizioni di lavoro che sono costate la pelle a Satnam Singh. E lo fa inquadrando la tragedia in un contesto sociale.

È ancora sotto shock Sony, la moglie del bracciante indiano di 31 anni che ha oerso un braccio in un incidente di lavoro ed è poi morto per le ferite riportate. Ha 26 anni ed è arrivata in Italia dall’India tre anni fa con il marito Satnam Singh.

Il padrone, decisamente adepto del caporalato, ha caricato sul furgone la coppia e il braccio strappato da un macchinario agricolo e l’ha scaricata davanti a casa, gettando l’arto vicino alla spazzatura. Ha requisito i loro cellulari, per impedire che chiedessero soccorso. Poi è tornato in azienda e ha chiamato due avvocati.

Sony conferma: «Ho visto l’incidente, ho implorato il padrone di portarlo in ospedale ma lui doveva salvare la sua azienda agricola. Ha messo davanti a tutto la sua azienda agricola. Il padrone ha preso i nostri telefoni per evitare che si venisse a sapere delle condizioni in cui lavoriamo. Poi ci ha messi sul furgone togliendoci la possibilità anche di chiamare i soccorsi».

A tentare di aiutare la donna ci sono i sindacati, in particolare Laura Hardeep Kaur, segretaria Flai Cgil di Latina e Frosinone. Così come Noemi Grifo e Ilario Pepe, una coppia che li ospitava nella propria casa da un anno, a otto minuti d’auto dall’azienda Lovato di Borgo Bainsizza (Latina), in attesa della regolarizzazione.

«Satnam era una persona splendida», raccontano. «Ci aiutava come poteva, anche se non parlava bene italiano ci capivamo a gesti. Non sappiamo se potesse sopravvivere, ma certamente poteva essere aiutato».  

Chi protegge il testimone?

Gli amici di Satnam e Sony parlano di «una coppia affiatata: se lei stava male lui restava a casa con lei, preferiva perdere una giornata di lavoro pur di non lasciarla sola. Non avevano niente se non loro stessi e lui era profondamente rispettoso di sua moglie».

Uno dei braccianti che lavorava nell’azienda agricola, pur senza permesso di soggiorno, ha deciso di testimoniare davanti ai carabinieri. «Ho deciso comunque di assumermi il rischio di essere cacciato dall’Italia con un foglio di via. Lo devo a Satnam e a sua moglie», ha spiegato. La Flai Cgil è al lavoro per chiedere permessi di soggiorno per motivi di giustizia, per mettere nelle condizioni di raccontare quanto accaduto a chi ne è stato testimone oculare.

Il direttore di “TgLa7” Enrico Mentana, 69 anni – Fonte: Ipa – Dillingernews.it

«L’operaio ha fatto di testa sua»

Renzo Lovato, padre dell’indagato e titolare dell’azienda, dichiara con nauseante cinismo a Rainews: «Avevo avvisato il lavoratore di non avvicinarsi al mezzo, ma ha fatto di testa sua. Una leggerezza che è costata a tutti». Al momento la procura di Latina non ha preso alcun nuovo provvedimento nei confronti del figlio Antonello Lovato, già accusato di lesioni colpose e omissione di soccorso e per cui si prospetta l’accusa di omicidio colposo. La Cisl ha riunito un gruppo di braccianti per solidarizzare e sottolineare le condizioni di sfruttamento vissute nelle campagne della provincia di Latina. «Tutti oggi hanno più paura», dice un giovane indiano. «Abbiamo paura per noi e per le nostre famiglie. Come possiamo continuare a lavorare così». Sabato 22 giugno la Cgil ha indetto uno sciopero «contro il caporalato, lo sfruttamento e il lavoro nero».

Giorgia Meloni è decisa nel condannare: «Sono atti disumani che non appartengono al popolo italiano, e mi auguro che questa barbarie venga duramente punita». Enrico Mentana nel suo editoriale su TgLa7: «Ci sono città del nord est, Monfalcone, in cui c’è un abitante del Bangladesh, un immigrato dal Bangladesh, ogni quattro italiani. E chi li ha chiamati? E a cosa servono? E poi ci lamentiamo se sono tanti o se tutti messi insieme in una baraccopoli svolgono i loro riti religiosi o di altro tipo? Cosa dovrebbero fare? Stare zitti e muti? Li abbiamo chiamati per fare che cosa? I lavori che volevamo fare noi o quelli che noi non vogliamo più fare? Né di destra né di sinistra questo. Abbiamo sentito la ministra, potevamo sentire i capi dell’opposizione. Alcuni hanno portato anche in Parlamento colui che doveva essere il rappresentante di questi senza volto. Sapete come è andata a finire. È soltanto il momento che tutti ci rendiamo conto di cosa siamo e cosa è diventato il nostro Paese».

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