La confessione di Filippo Turetta nel carcere di Verona risale al 1° dicembre scorso ed è appena stata resa pubblica. Davanti al pm di Venezia Andrea Petroni, il ragazzo ricostruisce la dinamica della morte di Giulia Cecchettin, l’11 novembre 2024.
Come è già noto, l’allora fidanzata di Turetta si era decisa a prendere le distanze. «Mi ha detto che ero troppo dipendente, troppo appiccicoso con lei. Voleva andare avanti, stava creando nuove relazioni, si stava “sentendo” con un altro ragazzo», rievoca Turetta davanti al magistrato.
«Ho urlato che non era giusto, che avevo bisogno di lei, che mi sarei suicidato».
«Lei ha risposto decisa che non sarebbe tornata con me. È scesa dalla macchina, gridando “Sei matto, vaf..lo, lasciami in pace”. L’ho rincorsa con un coltello in pugno. L’ho afferrata per un braccio, lei è caduta, ha sbattuto la testa».
«L’ho caricata sul sedile posteriore della macchina. Era rivolta all’insù verso di me. Si proteggeva con le braccia dove la stavo colpendo. L’ultima coltellata che le ho dato era sull’occhio. La guardavo, era come se non ci fosse più».
I tentativi di suicidio
«Poi ho imboccato la strada per Barcis», continua Turetta. «Mi sono fermato in un punto in cui non c’erano case e sono rimasto un po’ lì. Ho provato anche con un sacchetto a soffocarmi, però anche dopo averlo legato con lo scotch non sono riuscito e l’ho strappato all’ultimo. Allora ho preso lei e sono andato a nasconderla», dice nel diffuso dalla trasmissione Quarto grado.
«Avevo un pacchetto di patatine in macchina e una scatolina con qualche biscotto. Non ho mai comprato nulla da mangiare. I soldi che avevo li ho spesi per i rifornimenti di benzina. Volevo togliermi la vita con un coltello che avevo comprato, ma non ci sono riuscito. Pensavo che se avessi fumato e bevuto sambuca sarebbe stato più facile suicidarmi, ma invece ho vomitato in macchina. Ho riacceso il telefono. Cercavo notizie che mi facessero stare abbastanza male da avere il coraggio per suicidarmi, ma ho letto che i miei genitori speravano di trovarmi ancora vivo e ciò ha avuto l’effetto opposto. Mi sono rassegnato a non suicidarmi più e ad essere arrestato».
I particolari agghiaccianti della lite
Filippo Turetta, incalzato dal pm, torna sui fattori che hanno scatenato il suo raptus omicida. «Volevo darle un regalo, una scimmietta mostriciattolo. Con me avevo uno zainetto che conteneva altri regali: un’altra scimmietta di peluche, una lampada piccolina, un libretto d’illustrazione per bambini. Lei si è rifiutata di prenderlo. Abbiamo iniziato a discutere. Mi ha detto che ero troppo dipendente, troppo appiccicoso con lei. Voleva andare avanti. Ho urlato che non era giusto, che avevo bisogno di lei, che mi sarei suicidato. Lei ha risposto decisa che non sarebbe tornata con me. Ero molto arrabbiato. Prima di uscire anch’io, ho preso un coltello dalla tasca posteriore del sedile del guidatore. L’ho rincorsa, l’ho afferrata per un braccio tenendo il coltello nella destra. Lei urlava “aiuto” ed è caduta.
«Mi sono abbassato su di lei, le ho dato un colpo sul braccio, mi pare di ricordare che il coltello si sia rotto subito dopo. Allora l’ho presa per le spalle mentre era per terra. Lei resisteva. Ha sbattuto la testa. L’ho caricata sul sedile posteriore. Continuava a chiedere aiuto. Le ho dato, non so, una decina, dodici, tredici colpi con il coltello. Volevo colpirla al collo, alle spalle, sulla testa, sulla faccia e poi sulle braccia».