Gentile ministra Calderone, ha il dovere di intervenire e non solo di promettere provvedimenti. L’iniqua e mostruosa morte di Satnam Singh, bracciante 31enne indiano abbandonato dal datore di lavoro con un braccio strappato da un macchinario agricolo, grida giustizia immediata. Specialmente a quanto si apprende sul suo padrone.
Renzo Lovato, proprietario dell’azienda agricola omonima in provincia di Latina in cui lavorava Satnam, è infatti indagato dal 2019 per reati di caporalato. Eppure, ha ricevuto i fondi dell’Unione Europea per il suo settore. Poi ci sarebbe la truffa all’Inps, che pare si perpetrasse così: si assumevano lavoratori per i giorni necessari a maturare il sussidio di disoccupazione. Poi si licenziavano per finta e li si teneva a lavorare alle stesse condizioni.
L’inchiesta su Renzo Lovato per caporalato è iniziata cinque anni fa ma, non è dato capire perché, non è ancora oggetto di dibattimento nelle aule di un tribunale. Per due anni la procura ha accertato reati, per altri due ha lavorato alla conclusione dell’indagine e da un anno il decreto di conclusione si trova tra i corridoi del Palazzo di Giustizia.
Ci sarebbero difetti di notifica, solite burocrazie da giustizia lumacona. Secondo le indagini nella cooperativa Agrilovato gli indiani venivano assunti con l’aiuto di un caporale, violando le norme di sicurezza. Oltre alla mancanza di vigilanza e formazione, mancavano anche i bagni per il personale. Gli indiani venivano poi alloggiati in baracche per le quali pagavano affitti da 100-110 euro al mese. L’indagine coinvolge in totale 16 persone.
«Gli indagati sono tanti, ci sono stati problemi con le notifiche, ma ci siamo quasi», spiegano dagli uffici giudiziari a La Repubblica. Va ricordato che le procure di solito gestiscono invece inchieste con molti più indagati e riescono persino a notificare gli atti in tempi minori di cinque anni.
La solita scusa della pandemia
«Nel periodo Covid non è stato semplice operare», aggiungono. Ma la pandemia risale a tre anni fa. Intanto i Lovato hanno incassato 131 mila euro di fondi europei negli ultimi otto anni. Pur dichiarando di non avere operai alle proprie dipendenze. Perché la burocrazia non impedisce di avere fondi pubblici se l’azienda è sotto indagine.
Gli utili della Agrilovato nell’ultimo esercizio chiuso ammontano a 62 mila euro. I costi del personale sono di 115 mila euro. Le indagini vengono da una quindicina di inchieste condotte tra 2018 e 2023 dal procuratore aggiunto di Latina Carlo Lasperanza. Che ha contestato a una quarantina di imprenditori locali non la truffa, ma il caporalato. A Lovato viene contestata la «reiterata corresponsione» di pagamenti a cottimo e la reiterata violazione delle norme sull’orario di lavoro. Senza pause, riposi e straordinari. E ancora: la sottoposizione dei lavoratori a condizioni degradanti. Chi rifiutava le condizioni dopo il finto licenziamento non veniva più assunto di nuovo in nero.
Bestemme, urla e ordini
Emerge poi un altro caso di incidente invalidante sul lavoro. Parambir Singh, 33 anni, laureato in Medicina, moglie e due figli nel Punjab, racconta a La Repubblica il suo calvario mentre è steso su una brandina d’ospedale. Dieci mesi fa, il 7 settembre 2023, una plique della serra dove sgobbava, un fermo tenda, gli è entrata nell’occhio. «Ha perforato la cornea e ora vedo doppio. Lei, per me, sono due persone. Era un giovedì, tarda mattina. Con il padrone, Maurizio Di Pinto, stavamo cambiando la plastica della serra. Diceva di fare veloce, più veloce. Una bestemmia e un urlo, una bestemmia e un ordine. Lui dice che non crede in Dio, che si è fatto tutto da solo. Un dolore atroce. Mio padre era vicino a me, ha capito subito la gravità. Ha chiesto di chiamare l’ambulanza».
«Di Pinto Ha detto di no, che bastava andare in casa a medicarsi. L’abbiamo fatto, ma si capiva che la ferita era grave. L’abbiamo chiamato per chiedergli se ci accompagnava in auto all’ospedale di Fondi, pochi chilometri. Alla dodicesima telefonata ha risposto e ha detto che non poteva, stava pranzando. Mio padre e io siamo andati a piedi alla fermata del pullman. Il mio occhio aveva smesso di sanguinare. Abbiamo impiegato due ore ad arrivare al pronto soccorso, ma a Fondi mi hanno detto che non potevano operarmi, serviva un ospedale più attrezzato. Siamo usciti e di nuovo in pullman, verso Terracina. Abbiamo perso sette ore, avremmo potuto salvare l’occhio. All’ospedale di Terracina mi hanno dato sette punti interni. Ho perso la vista dall’occhio destro, e anche il sinistro sta peggiorando. In dieci mesi sono stato venti volte in ambulatorio, ma le possibilità di recuperare sono minime. A giorni farò un nuovo intervento. Di Pinto non è mai venuto a trovarmi. Per lui non siamo umani, solo animali. Era così anche sul lavoro: bestemmie e ordini, “alzatevi”. Qui si inizia alle tre di mattina e si lavora fino a mezzogiorno. Dopo l’incidente ci ha minacciato: “Se andate dai carabinieri vi faccio cacciare dall’Italia”. No, io non sono un animale».».
LATINA – Presidio contro la morte del bracciante Satnam Singh e manifestazione contro il caporalato