Giorgia Meloni abbozza, Ignazio La Russa piagnucola per cambiare le leggi elettorali, Elly Schlein incassa il primo, reale grande successo del suo mandato di leader del Partito democratico. Stando alla sua spiegazione, «perché ci ho messo la faccia»; più sottilmente, diremmo noi, perché ha “melonizzato” la sua strategia di comunicazione
Il progetto schleiniano di “campo largo” funziona: in parte si era già capito in Sardegna, sia alle regionali di febbraio, sia alle Europee. Infatti, a Cagliari il nuovo sindaco è il dem Massimo Zedda, passato già al primo turno.
Anche ai ballottaggi, lo spoglio delle schede premia il centrosinistra. Tra primo e secondo turno il “campo largo” ha vinto in sei capoluoghi di regione su sei. Ieri ha strappato al centrodestra Perugia, Potenza e Vibo Valentia, due settimane fa aveva fatto lo stesso a Pavia, oltre che a Cagliari. I capoluoghi chiamati alle urne erano 29. La fotografia di partenza era questa: 13 città guidate dal centrosinistra, 12 dal centrodestra, due da sindaci del Movimento 5 stelle e poi Avellino con la sua prima cittadina espressione di una lista civica e Sassari con un sindaco civico. Adesso la situazione è mutata: 17 capoluoghi sono a guida del centrosinistra, 10 del centrodestra, mentre ad Avellino è stata confermata la sindaca civica uscente e anche a Verbania ha vinto un civico.
Elly Schlein assapora il gusto della rivincita soprattutto nel capoluogo pugliese. «La vittoria più bella, quella che mi emoziona di più è Bari», esulta al quartier generale del Nazareno. «Lì hanno mosso mari e monti per dimostrare che noi eravamo un partito di gentaccia, ma io ci ho messo la faccia lo stesso, e ho fatto bene, noi abbiamo vinto e la destra dopo tutte quelle accuse e mistificazioni ha perso».
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La leader del Pd serra subito i ranghi e chiama gli alleati al loro dovere. «Le città hanno bocciato la destra che governa e mandato un messaggio chiaro a Giorgia Meloni. Dobbiamo costruire un’alternativa credibile, basta con le divisioni, anche perché si è visto che non pagano».
Conte ci sta
Giuseppe Conte assicura che i 5Stelle eviteranno come la peste rappresaglie o rivalse: «Vogliamo lavorare anche noi per costruire l’alternativa a Meloni». Schlein deve ancora fare i conti con un’opposizione interna e per questo insiste a mantenere salda la barra a dritta: «Abbiamo dimostrato che c’è un nuovo modo di fare politica. CI sono tanti punti di incontro. Dobbiamo sentire tutti la responsabilità di provare a creare un’alternativa in grado di battere una destra che sta facendo male al Paese».
Ha pressato perché il centrosinistra questa volta arrivasse alle elezioni dopo due settimane di mobilitazioni unitarie. Alla Camera, contro l’autonomia differenziata, al Senato contro il premierato. «Certo, bisogna ammettere che Meloni e il suo governo, impuntandosi su questo due riforme, ci hanno dato una mano», sostiene un dirigente dem.
L’analisi del voto
Sulle colonne di La Repubblica, l’esperto Ilvo Diamanti scava a fondo nelle dinamiche di questo suffragio, sottolineando una tendenza che già vent’anni fa era chiara all’ex presidente Ciampi. Ovverosia che gli italiani prediligono la dimensione locale a quella nazionale e sentono maggiore appartenenza alla democrazia votando per sindaci o governatori che per leader della politica dei vertici.
Di seguito, l’editoriale del sociologo.
“In questi giorni, si è votato per rinnovare l’amministrazione di oltre 200 comuni, tra i quali 29 città capoluogo. Il primo dato da considerare va oltre il voto. I partiti e le coalizioni. Letteralmente. Perché la partecipazione elettorale si è fermata sotto il 48%. Circa 15 punti in meno rispetto al primo turno. Il voto preferito dagli elettori, dunque, si è confermato il “non voto”. Il voto di chi non vota. Per dis-interesse, necessità. O, più semplicemente, per scelta consapevole. Per distanziarsi dai candidati rimasti. E (o) per marcare il proprio distacco dallo scenario delineato. Che, nei ballottaggi, è “significativo”. Perché “dà significato al non voto”.
D’altra parte, il legame fra i cittadini e le istituzioni si è indebolito, negli anni. Anche a livello territoriale. I partiti, ormai, hanno poche relazioni con le città. Dove i rapporti resistono ed esistono ancora perché “le amministrazioni” hanno un volto conosciuto e ri-conosciuto. Espresso, appunto, dagli “amministratori”. I sindaci, in primo luogo.
Lo sguardo d’insieme sui risultati delinea un successo del Centro Sinistra “largo.” Ed evidente. Soprattutto, dove si presenta alleato con altre forze “Civiche e di Sinistra”. Soprattutto con il M5S. Nei Comuni con più di 15 mila abitanti si afferma – e quindi governa – in 111 Comuni. Prima erano 102. Il Centro Destra rimane stabile. Governava in 81 Comuni. Ora in uno di meno. La differenza, dunque, la fa il “campo largo”. L’alleanza con il M5S. Soprattutto nel Centro Sud e nel Mezzogiorno. Dove il M5S ha radici più profonde. E il Centro Sinistra si è rafforzato.
Il Centro Destra, a sua volta, si conferma più solido nel Nord, come da tradizione. Meno nelle altre Regioni. Soprattutto per il declino della Lega.
Ma il “Campo largo” di Centro Sinistra si dimostra particolarmente forte – e si rafforza – soprattutto nei Comuni capoluogo. A conferma di una tendenza nota. Perché è divenuto, ormai da tempo, il riferimento politico dei “centri storici”. Della piccola e media borghesia. Mentre si è indebolito nelle periferie. E nei “piccoli centri” di provincia. In particolare, nelle Regioni del Centro Nord. Che un tempo erano definite “rosse”. Mentre ormai sono, al massimo, “rosa”.
Si osserva, inoltre, una permanenza delle “liste “civiche”, che rispecchiano l’attività e la presenza di gruppi e associazioni in ambito locale. Anche se mostrano un notevole grado di “mobilità”. Senza orientamenti precisi e condivisi. Perché la loro esperienza induce coloro che ne fanno parte e le guidano a cercare altri “approdi”. Per rafforzare e consolidare il loro ruolo. La loro presenza nelle istituzioni.
L’immagine che emerge da questa Mappa dei governi locali conferma una geografia frammentata. Differenziata. E, dunque, “fluida”. Dovunque. In ogni area del Paese. Ed evoca una riflessione proposta, circa 20 anni fa, da Carlo Azeglio Ciampi, allora Presidente della Repubblica. L’Italia, affermò Ciampi, è un «Paese di Regioni, città». Un «Paese di paesi». Fra loro diversi, ma non lontani. Perché ciò che unisce l’Italia, sono le sue differenze.
Ebbene, proprio questo è il problema e, al tempo stesso, l’obiettivo di chi agisce in questo Paese. E si propone di governarlo. Fare della diversità, sul piano sociale e territoriale, non un motivo di divisione e di conflitto. Ma di unità. Collaborazione. Perché ci sono molte e diverse Italie. E questo deve essere motivo di collaborazione. Di identità. Perché in Italia co-esistono diverse economie, diverse tradizioni culturali, diverse de-finizioni territoriali. Peraltro, la personalizzazione della politica appare particolarmente importante, in ambito regionale e cittadino. In quanto i Governatori e i Sindaci sono eletti direttamente. E danno un volto e un nome alle realtà locali. Costituiscono, in qualche, modo una forma di “presidenzializzazione”. In un Paese dove, come avviene dovunque, c’è una crescente richiesta di relazione (ed elezione…) “diretta” nei confronti di coloro che guidano il Paese. E i Paesi.
Per questi motivi la geografia delineata dalle elezioni amministrative che hanno avuto luogo nelle ultime settimane in molte città italiane è importante. E deve costituire un motivo di riconoscimento e identità, per i cittadini. Non solo a livello locale. Ma nazionale. E oltre. Perché l’Italia è una e, al tempo stesso, “molte”. E offre “molti” motivi di attrazione. Per citare un film di Paolo Sorrentino, è una terra dove è diffusa La Grande Bellezza”.