Con il nuovo decreto sicurezza, diventano reato penale tutte quelle proteste che si legittimano dietro la parola “democrazia”, ma che in realtà non hanno nulla a che fare con essa
Un’innocua occupazione di studenti davanti scuola che ferma il traffico. Un classico picchetto di operai davanti a una fabbrica, chi si sdraia sui marciapiedi, sulla strada, o le innumerevoli proteste in carcere. Il nuovo decreto sicurezza punisce penalmente tutte quelle manifestazioni che si avvalgono dell’intoccabile concetto di “democrazia”, quando in realtà non hanno nulla a che fare con esso.
La cosiddetta norma “anti Ghandi”, come l’hanno ribattezzata le opposizioni rievocando il nume tutelare della lotta di resistenza non violenta, ieri ha infatti superato il passaggio in commissione Giustizia e Affari costituzionali della Camera e adesso è pronta ad approdare nell’aula di Montecitorio nel corpo del disegno di legge sicurezza firmato Nordio-Piantedosi.
«Con questa norma, Gandhi e Pannella sarebbero sbattuti in carcere e trattati alla stregua di violenti criminali», accusa il segretario di +Europa, Riccardo Magi.
Fino ad un mese di carcere per chi si sdraia per strada
Ieri, gli emendamenti delle opposizioni sono stati respinti in blocco. E dunque ecco che esce fuori il reato di blocco stradale con il solo corpo: fino a un mese di carcere per chi impedisce la circolazione su strada o sui binari. Pena che sale fino a due anni se i manifestanti sono più di due. Quello che è sempre stato un illecito amministrativo diventa un reato penale.
«Questa non è una legge sulla sicurezza ma contro la libertà, di una destra liberticida e manettara che pensa di risolvere tutto inventando nuovi reati e aumentando le pene», attacca Matteo Mauri, responsabile della sicurezza del Pd. Ma forse a Mauri sfugge che la libertà perde il suo senso più puro quando per difendere la propria s’intacca quell’altrui.
I trattori sì gli attivisti no?
Nel 2018 Matteo Salvini con il primo decreto sicurezza ci aveva già provato rendendo reato il blocco stradale se però messo in atto con mezzi di qualsiasi genere. Guai però a contestarlo contestarlo alle manifestazioni di intere categorie, bacino di voti di grande interesse, come gli agricoltori che con la protesta dei trattori hanno paralizzato per giorni il traffico autostradale.
Ma quando gli ecoattivisti di Ultima generazione, nei mesi scorsi, hanno ripetutamente bloccato il Grande raccordo anulare a Roma il governo ha deciso di usare la mano forte. Persino in caso di resistenza passiva come prevede un altro articolo del ddl che infliggerà nuovi periodi di detenzione a chi, nelle carceri, proverà ad opporre resistenza passiva.
La risposta delle opposizioni
Dal Pd al M5S ad AVS, opposizioni unite nel denunciare la «deriva reazionaria». «Il governo mira a colpire il diritto a manifestare contro quello che si ritiene sia un fatto ingiusto, criminalizza il dissenso pacifico e meramente passivo. Lo stesso prevedono per la protesta pacifica in carcere, proprio mentre i suicidi nelle celle si susseguono e il disagio dei detenuti è diventato un’emergenza», dice Federico Cafiero de Raho, vicepresidente del M5S in commissione Giustizia. Mentre la collega Stefania Ascari sottolinea l’aggressione anche ai diritti sindacali. «Il governo e la maggioranza con questo Ddl vogliono negare il diritto alla protesta dei lavoratori».
E per fortuna che la Lega ha finito per ritirare quelle leggi balzane come l’emendamento che prevedeva il carcere per gli organizzatori delle manifestazioni e quello sulla non punibilità dei pubblici ufficiali che usano armi per vincere una resistenza anche passiva. Restano in ballo le norme sulla stretta alla cannabis light e sulla detenzione per le donne madri o incinte. Per l’approdo in aula dell’intero ddl invece tutto rimandato, probabilmente all’autunno, a quasi un anno dalla sua approvazione in consiglio dei ministri. «Due rinvii e ora ricalendarizzato senza che siano stati dati i pareri del governo su moltissimi emendamenti della maggioranza – osserva ancora Mauri – La dimostrazione di tensioni molto forti dentro la maggioranza. Sia per ragioni politiche che sul merito di alcune scelte».