Sentiamo odore di legge-bavaglio. Dopo l’inchiesta di Fanpage sulle frange razziste e naziste della Gioventù meloniana e la condanna della premier come condotta con «metodi da regime», si espande un dibattito in punta di diritto che tira per la giacchetta persino il presidente Mattarella.
Francesco Saverio Marini, giurista e consigliere di Giorgia Meloni, apre la sua intervista al Corriere della Sera condividendo il giudizio espresso ieri da Gianfranco Fini: «Quello che è stato detto nel servizio è esecrabile, allucinante. Ma si deve prescindere dal contenuto. E il punto critico c’è».
Se Fini giudica il metodo d’indagine di Fanpage come «ai limiti del lecito», Marini invece non ha dubbi: «Nessuna attività giornalistica si deve spingere fino a partecipare segretamente alla vita di un partito o di un’associazione politica».
Il giurista poi nega che si intenda minare la libertà di stampa: «No. La libertà di stampa ha dei limiti. Il rispetto dei diritti individuali: inclusi i diritti politici e la tutela delle regole democratiche e dunque il funzionamento dei partiti».
Limiti che sono stati violati da Fanpage «nella misura in cui si è infiltrato in un partito e ha reso pubbliche le opinioni di alcuni soggetti. Perché la libertà di esprimere le proprie opinioni e le proprie idee politiche in segretezza è tutelata».
La legge-bavaglio c’è già, però…
Marini è evasivo di fronte alla domanda se si stia pensando a nuove norme per limitare il diritto di cronaca. «Già esistono delle norme con sanzione addirittura penale per chi limita i diritti politici con violenza, minaccia o inganno. E qui l’inganno indubbiamente c’è». Questo passaggio tradisce un’ambiguità: i giornalisti per deontologia dovrebbero tutelare il diritto dei cittadini a conoscere la verità invece, secondo il giurista, limiterebbero i diritti politici.
Ci sarebbe la Corte di Cassazione, fa notare il Corriere, a dire che il giornalista si può infiltrare ovunque. «Ha consentito la possibilità di riprese nascoste ma con determinati limiti. La Costituzione tutela la riservatezza dei partiti non prevedendo controlli pubblici. Tanto che anche i servizi di intelligence hanno limiti di accesso. E poi c’è la disciplina della privacy e della riservatezza».
L’opinione politica? Un dato sensibile
Ma la politica è senza dubbio cosa pubblica… «Una cosa sono i soggetti che ricoprono incarichi pubblici e per questo limitano la propria libertà. Altro è il soggetto privato che esprime la propria opinione all’interno di un partito o di un’organizzazione politica. Una disciplina sia nazionale che europea configura l’opinione politica come un dato sensibile, vietandone la diffusione. Il rischio è che qualificando tutto di interesse pubblico si possano travalicare i diritti individuali. Anche le intercettazioni potrebbero individuare un fatto di interesse pubblico. Ma il giornalista non le può fare. Altrimenti si dà il via a una spirale pericolosa».
È di dominio pubblico, caro Marini, che le intercettazioni presto rischieranno di non poterle usare in aula nemmeno i pm. Che le hanno a volte passate ai giornalisti, magari ritenendo che certi reati fossero di interesse pubblico. Infine, ci scusi, una domanda semplice: le riunioni dei partiti sono a porte chiuse o possono essere considerate pubbliche? Se io vado a un’assemblea di studenti pro-Palestina e sento un giovane pronunciare frasi vergognosamente antisemite contro gli ebrei, sono un infiltrato a scriverle sul mio giornale?