Si chiamava Fedez, aveva vent’anni, era arrivato in Italia minorenne, nascosto in un camion. Detenuto nel carcere fiorentino di Sollicciano per il reato di rapina con estorsione, avrebbe scontato la pena a novembre del prossimo anno. Ha atteso che il suo compagno di cella andasse in parlatorio. Quindi ha tappato la serratura con dei pezzi di plastica, ha annodato le lenzuola e si è impiccato.
Il giorno prima, il Consiglio dei ministri aveva approvato il decreto legge sulle carceri. Il Guardasigilli Carlo Nordio ha parlato di «umanizzazione» dei penitenziari. Sul sovraffollamento, ha promesso la scarcerazione di «una buona parte dei 15-20mila detenuti in attesa di giudizio». Ha aggiunto che tra i 20mila reclusi stranieri «grazie agli accordi con gli Stati esteri, 5-10mila saranno trasferiti».
Anche uno studente di terza media che abbia un po’ di voglia di studiare sa che tra il dire e il fare c’è in mezzo il mare. Il dl carceri pare, ahinoi, aria fritta, potrebbe costare un’erosione del consenso al governo Meloni. «Umanizzare» le carceri? Suvvia ministro, ci prende in giro? Ah, poi c’è un’altra promessa: «trasferiamo minori e tossicodipendenti dal carcere alla comunità. È un passo molto importante, ci porta molto avanti nel reinserimento sociale ed è un rimedio al sovraffollamento carcerario».
Facciamola semplice, omettiamo la realtà. Chi ha un figlio o un parente con questo genere di problemi si scontra con lunghissime liste d’attesa per essere accolti in una comunità. Come lo spieghereste a un padre, signori del governo, che un carcerato occupi un posto in una di queste strutture riabilitative mentre sua figlia eroinomane deve aspettare chissà quanto?
Dall’inizio dell’anno, sono già 53 le persone – sottolineiamo “persone”, non carne da macello – che l’hanno fatta finita dietro le sbarre. E questo è un dramma e un fallimento della funzione riabilitativa della detenzione, argomentata fin dalla metà del Settecento dal brillante criminologo e illuminista Cesare Beccaria.
Cimici e tumulti
A Sollicciano, la morte di Fedez ha aizzato una violenta sommossa. I detenuti la covavano da tempo, afflitti dalla penuria d’acqua e dal flagello delle cimici. Hanno appeso uno striscione alle sbarre, “NOI COME ANIMALI”, appiccato le fiamme nel carcere. Era ormai sera quando vigili del fuoco, polizia e carabinieri hanno ripreso il controllo della situazione.
«Tre sezioni del giudiziario sono inagibili dopo i danni provocati dalla rivolta dei detenuti», spiega Antonio Mautone, segretario Uilpa penitenziari Firenze. «Pertanto è probabile che circa ottanta reclusi saranno trasferiti nelle prossime ore in altri penitenziari italiani».
«Il governo non fa niente»
Mirko Dormentoni è il presidente del Quartiere 4, che comprende il penitenziario. La sua testimonianza è molto importante: «La situazione è grave e le proteste dei carcerati sono comprensibili perché è successa l’ennesima tragedia. Un ragazzo di venti anni si è tolto la vita, la situazione carceraria a Sollicciano come in tante altre carceri in Italia è davvero insostenibile, non è assolutamente vicina alla funzione che la Costituzione dà al carcere, quella della riabilitazione. Qui ci sono problemi strutturali di fondo, c’è stata un’emergenza idrica. Noi con Comune e Regione portiamo servizi sociali e sanitari, la biblioteca, lo sport, ma qui non hanno acqua, sono troppi i detenuti e sono troppo pochi gli educatori e gli agenti di polizia penitenziaria. Quindi qui è tutto da rifare, è una situazione che non può andare avanti così. È un pezzo di città e le persone ci muoiono dentro».
Il garante comunale dei detenuti Eros Cruccolini accusa: «Ci sono i soliti problemi strutturali a Sollicciano». Poi attacca il nuovo decreto governativo: «Il dl non fa niente di sostanziale per decongestionare il carcere. Non solo, prevede l’aumento delle telefonate ogni mese da 4 a 6, praticamente niente». L’arcivescovo di Firenze, Monsignor Gherardo Gambelli, si lascia andare a un commosso sfogo: «Mentre preghiamo per il ragazzo di soli 20 anni e rivolgiamo un pensiero alla sua famiglia, non possiamo continuare ad accettare che tante persone disperate si tolgano la vita in carcere. Queste morti confermano le condizioni insostenibili di tanti penitenziari italiani, criticità che da tempo vengono denunciate e che ho verificato personalmente come cappellano. Ancora una volta rivolgiamo un accorato appello a tutti coloro che hanno il potere di fare qualcosa perché in carcere vengano rispettati i diritti umani e la dignità delle persone e ai detenuti che scontano una pena non sia tolta la speranza della redenzione». Aggiunge don Vincenzo Russo, responsabile della pastorale per il carcere della diocesi: «È questo il prodotto della nostra giustizia? A Sollicciano i lavori per cui il ministero ha stanziato milioni non sono mai terminati e le condizioni della struttura sono fatiscenti da troppi anni». Intanto, sempre il 4 luglio, un altro detenuto 35enne è spirato in rianimazione all’ospedale di Livorno, dopo aver tentato il suicidio due giorni prima. Disordini anche al Cpr di ponte Galeria a Roma, un tentativo di suicidio, alcuni carcerati che per protesta hanno dato fuoco ai materassi e rotto le porte. Carabinieri e polizia in assetto antisommossa hanno spento la rivolta coi lacrimogeni. Per l’esecutivo, la risposta adeguata a tutto questo sarebbe «umanizzare» i penitenziari.
Dante Alighieri, Canto XXVI dell’Inferno: il Sommo Poeta fa dire a Ulisse “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Studiate, onorevoli ministri e sottosegretari, non si smette mai di imparare.