Se Atene piange, Sparta non ride. Le elezioni in Francia espongono il Paese a un potenziale blocco istituzionale, nonostante il successo del Nuovo fronte popolare e la parziale debacle di Marine Le Pen.
Al Nuovo fronte popolare, l’alleanza di sinistra, vanno 182 seggi, a Ensemble, la coalizione macroniana, 168 seggi, mentre al Rassemblement National alleato con i repubblicani di Eric Ciotti (che porterebbe in dote 17 deputati), 143 seggi. L’affluenza è stata del 66,7%, da record come preannunciato e come si è visto in tendenza durante tutta la giornata di ieri.
Il coordinatore della France Insoumise, Manuel Bompard, dichiara sicuro: «È la prima formazione politica dell’Assemblea nazionale che deve governare. Pertanto, il presidente della Repubblica ha il dovere di invitare a Matignon un primo ministro del nuovo Fronte popolare. Questo è uno degli elementi di cui discuteremo nei prossimi giorni. Oggi ci saranno incontri tra i leader dei diversi gruppi politici della nostra alleanza. Domani nell’Assemblea nazionale si formeranno i diversi gruppi. Dobbiamo procedere passo dopo passo».
Jacques Attali, economista, storico e saggista, getta acqua ghiacciata sugli ardori del Nuovo fronte popolare e sul suo leader: «Melenchon sogna, non sarà mai primo ministro. Sono contento perché è stato evitato il pericolo fascista, ma la Francia si trova in una situazione ingovernabile. Perché nessun partito ha la maggioranza, molti deputati sono stati eletti non per il loro programma ma per fare blocco contro il candidato fascista. E inoltre molti candidati di sinistra sono stati eletti con i voti di destra così come molti deputati di destra sono stati eletti con i voti di sinistra».
Il più fidato consigliere di Mitterrand non è sorpreso dal responso delle urne: «Relativamente, perché da qualche giorno, da quando si è formata un’alleanza antifascista molto chiara tra la quasi totalità dei partiti di sinistra, tenuto contro del sistema elettorale francese, era chiaro che il Rassemblement non poteva vincere. Ed è la conferma di un’alleanza antifascista che esiste da sempre in Francia, il risultato di un’elezione con il proporzionale non si poteva riprodurre nelle legislative che si fanno con il maggioritario a ballottaggio».
La zattera
Tommaso Foti, capogruppo di FdI alla Camera, tenta di screditare, goffamente, la vittoria della sinistra francese: «Quello che le urne francesi ci restituiscono è un Rassemblement National che non riesce ad imporsi al secondo turno, nonostante fosse uscito vincente al primo, a causa della strategia della desistenza che ha accomunato Macron e Mélenchon».
«E così, pur di fermare la destra di Le Pen e Bardella, sono saliti tutti sulla zattera di un malinteso fronte repubblicano: liberal, comunisti, antisemiti, filoislamisti. Un frullato di idee, programmi e tradizioni antitetiche, che porta a una maggioranza solo numerica e consegna la democrazia francese all’instabilità politica. E come in Italia le foto delle ultime settimane ci restituiscono i leader di sinistra, in un caleidoscopio confusionario, uniti contro Giorgia Meloni ma divisi su tutto, anche in Francia i fatti dimostreranno che il cartello degli opposti non sarà in grado di governare. Ciò detto, resta il fatto che l’unica destra che riesce a vincere in un grande Stato europeo, è quella di Fratelli d’Italia, con Giorgia Meloni».
Verso una necessaria coalizione
Chi governerà la Francia? Se lo chiede il principale quotidiano di Parigi, Le Monde. Il primo Ministro Gabriel Attal nella serata di domenica 7 luglio ha annunciato le sue dimissioni. «Il fatto che un governo si dimetta dopo le elezioni legislative è una convenzione”, osserva Benjamin Morel, docente di diritto pubblico all’Università di Parigi-Panthéon-Assas. «Il signor Attal non dovrebbe necessariamente fare subito le valigie, dato che, pochi giorni prima dei Giochi Olimpici, si era detto pronto a restare a Matignon finché il dovere lo richiederà». A Emmanuel Macron non viene quindi imposto formalmente alcun calendario, né per chiedere all’attuale governo di dimettersi né per nominarne uno nuovo. Il capo dello Stato ha detto domenica che preferisce «attendere la strutturazione della nuova Assemblea nazionale per prendere le decisioni necessarie (…), secondo la tradizione repubblicana».
Se un campo politico riunisce la maggioranza assoluta dei deputati al termine delle elezioni legislative (vale a dire almeno 289 sui 577 presenti nell’emiciclo), la situazione è semplice: la nomina di un primo Ministro tra le sue fila è essenziale in linea di principio. Anche se proviene da un partito contrario al capo dello Stato, come è avvenuto durante la convivenza tra François Mitterrand e Jacques Chirac. Al termine di queste elezioni, nessun gruppo politico può oggi rivendicare un simile dominio. Il primo gruppo, il Nuovo Fronte Popolare (NFP), conta solo 182 eletti, cui si aggiungono circa tredici diversi eletti di sinistra, ovvero una maggioranza relativa pari ad appena un terzo dei seggi del Palazzo Borbone. In assenza di una maggioranza chiara sui banchi del Palais-Bourbon, il rischio di blocco istituzionale è reale. Le istituzioni non impongono alcun calendario per la formazione del governo, ma in sua assenza non può essere adottato alcun testo legislativo o regolamentare. Non resta che imboccare la strada di una coalizione.