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Tarnjit, l’amico di Satnam: “Era ancora vivo ma il padrone diceva: non so dove buttarlo”

Tarnjit Singh, amico e collega del bracciante Satnam, morto dopo che un macchinario agricolo gli ha strappato un braccio - Fonte: Repubblica.it - Dillingernews.it

Era lì, alla Cooperativa Agrilovato, il pomeriggio del 17 giugno. Ha visto il collega bracciante Satnam Singh perdere un braccio. È scappato in bicicletta appena capita la drammaticità della situazione. Credeva che Antonello Lovato, il titolare, stesse portando col suo furgone il 31enne indiano in ospedale. Sappiamo che non è andata così e che Satnam, dopo due giorni, è morto per il dissanguamento.

Intervistato da La Repubblica, uno dei tre testimoni si presenta: «Sono Tarnjit Singh e ho 30 anni e un fratello. Sono nato a Kapurthala, nel Punjab, in India. Ho venduto casa e terreni, oggi sono pieno di debiti. Sono arrivato in Italia traversando il Mediterraneo. Per un anno ho lavorato con Agrilovato».

Quel giorno si è iniziato a lavorare «alle 7 di mattina. In cinque. Il padrone, Antonello Lovato, Satnam con sua moglie Soni, io e Alessandra, della provincia di Latina». La paga era come si immagina bassa: «Cinque euro e mezzo l’ora, in nero. Non ho il permesso di soggiorno».

«Di prima mattina avevamo raccolto zucchine, quindi tolto l’erba dai campi dei meloni. E alla fine abbiamo iniziato a riavvolgere la rete che copre gli stessi meloni. Una rete di tessuto, simile al cotone. Tutto in campo aperto, senza alberi intorno».

Pochi istanti prima dell’incidente, «il padrone mi aveva dato un coltello ed ero andato a incidere il tessuto con una X, doveva respirare. Ero il più distante da Satnam, settanta metri. Lui era vicino al signor Lovato. Davanti al trattore e a quel macchinario che avvolge i tessuti per i meloni. Un macchinario molto vecchio».

«È morto, non so dove buttarlo»

Il padre di Lovato sostiene che suo figlio aveva detto a Satnam di stare lontano dalla macchina avvolgitrice. «Ero lontano, non lo so, ma quel lavoro spettava a lui. Come faceva a starci lontano? Mi sono accorto della tragedia dalle urla di Satnam. Gridava fortissimo, implorava il cielo di aiutarlo. La moglie e la donna italiana sono corsi verso di lui, ho lasciato il coltello e sono corso anch’io. Satnam aveva il braccio destro staccato all’altezza del muscolo e mangiato in altri due punti. La moglie singhiozzava e diceva a Lovato: ospedale, ospedale».

«Lovato diceva: è morto. Soni insisteva: respira. Lo diceva a lui e a me. “Aiutatelo, chiamate ambulanza”. Il padrone era travolto dalla paura, respirava male. Anch’io gli ho detto: ambulance. Ha detto ancora: “È morto, non so dove buttarlo”. Soni ha implorato: “Respira, senti”. Antonello è andato più vicino a Satnam e ha capito che era vivo».

Braccianti al lavoro nei campi – Fonte: Ipa – Dillingernews.it

Aprite quel furgone

Quindi «ha detto che l’ambulanza non può venire nella campagna. Ho chiamato al telefono mio cugino, parla meglio l’italiano. L’ho messo in viva voce. Ha ascoltato Lovato che parlava a bassa voce e poi gli ha detto: “Devi portare Satnam in ospedale”. Il padrone ha preso il corpo e l’ha portato verso il furgone urlando: “Aprite, aprite”. Nessuno lo faceva, io sono corso ad allargare il portellone posteriore. Credevo lo portasse in ospedale. Lovato aveva messo dentro Satnam ed era entrata anche Soni. Io sono rimasto giù. Non ho visto chi aveva preso il braccio. È partito veloce, poi ho saputo che aveva lasciato il corpo sotto l’appartamento di Satnam. Ci sono rimasto male. Ho raccolto i bracciali del mio amico e li ho portati al capannone dove pranziamo tutti. Ho chiamato al cellulare Satnam, poi la moglie, ma non mi hanno risposto. Ho preso la bicicletta e sono scappato verso casa. Ero pieno di paura».

Tarnjit è convinto che il suo amico si sarebbe potuto salvare.  «Se non perdeva tutto quel sangue, sì. Io non lavoro da quel lunedì. Mi vergogno a dirlo, ma mangio dai miei cugini, anche loro braccianti. Lovato è una persona normale, ci dava l’acqua, a volte pranzava con noi. E quando pioveva accompagnava Satnam a casa. A volte bestemmiava, ma non si è mai arrabbiato con me. La famiglia Lovato non è razzista».

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