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Sigfrido Ranucci: “Non parlo della Rai, vorrei evitare procedimenti disciplinari. In Italia a gennaio i reporter rischieranno il carcere”

Il giornalista Sigfrido Ranucci, 62 anni, conduttore su Rai3 di “Report” - Fonte: Ipa - Dillingernews.it

Sigfrido Ranucci è a Polignano a Mare (Bari) per presentare il suo libro La scelta, edito da Bompiani, alla 23esima edizione della rassegna Libro possibile. E ha voglia di tirare fuori qualche “sassolone” dalle scarpe. «Non parlo della Rai, vorrei evitare un procedimento disciplinare… posso dire che per la prima volta a distanza di 30 anni non andrò alla presentazione dei palinsesti».

Si è prospettato uno slittamento d’orario per la sua longeva e seguitissima trasmissione d’inchiesta, creata e condotta dalla sua maestra Milena Gabanelli dal 1994 al 2017.

«Credo che Report, una risorsa interna, essendo stata premiata come la migliore trasmissione di informazione, quella che incarna di più il servizio pubblico, meriti in assoluto più rispetto».

Si parla di libertà d’informazione e di quali pericoli comporti: «In Italia mi sono sempre sentito libero, anche in questi anni. Bisogna mettersi d’accordo su quanta energia devi impiegare per difendere questa libertà di stampa, per renderla più divulgabile, su quanta forza hai ancora per difendere questo e il diritto dei cittadini di essere informati».

«Dopo diversi tour per la presentazione del libro, l’affetto della gente che ho trovato non ha prezzo. Mi ha fatto riconciliare con le scelte fatte in questi anni, di privilegiare il pubblico come unico editore di riferimento, senza avere nessun padrino politico, dei poteri forti, L’aver scelto di rimanere me stesso».

«L’indipendenza è uno stato dell’anima»

«Credo che l’indipendenza sia uno stato dell’anima. Noi viviamo in un Continente, l’Europa, che presume di essere la culla della civiltà. In pochi ricordano che ci sono stati cinque giornalisti uccisi negli ultimi anni (fra gli altri, cita Daphne Caruana Galizia a Malta, Peter R. De Vries in Olanda, Giorgos Karaivaz in Grecia)».

«Stavano indagando sui rapporti tra la politica e la criminalità organizzata e non hanno ancora avuto giustizia. Poi in Italia abbiamo 270 giornalisti che sono sotto tutela, 22 completamente sotto scorta. Abbiamo il record mondiale di politici che denunciano i giornalisti e abbiamo delle leggi liberticide che sono state approvate o stanno per esserlo».

Il giornalista olandese Peter R. De Vries. morto nel 2021, a 64 anni, in un agguato ad Amsterdam: mandanti, i parenti di un gangster – Fonte: Ipa – Dillingernews.it

Negli Usa gli danno il Pulitzer, qui rischiano il carcere

«Si prevede il carcere per i giornalisti che divulgano notizie illecitamente raccolte. Penso ai colleghi del consorzio del giornalismo investigativo come Icij o Irpi che hanno realizzato inchieste straordinarie. I Panama Papers o i Paradise Papers, che riguardavano risorse sottratte alla collettività, quindi meno sale di terapia intensiva, meno maschere per l’ossigeno, meno insegnamento, meno welfare, meno strade sicure portate nei paradisi fiscali a beneficio anche di ricchi politici».

Informazioni che derivavano «anche da attività di hackeraggio fatte nei centri di grandi transazioni finanziarie. Ma mentre negli Usa il consorzio Icij è stato premiato con il Pulitzer, qui rischierebbe il carcere. Poi c’è chi vuole impedire di dare i nomi degli arrestati, di parlare dei rapporti con terzi. Il corto circuito potrebbe avvenire nel 2025, a gennaio, quando entrerà in vigore la Cartabia con il meccanismo dell’improcedibilità. Si nomina il caso Assange: «Credo sia un bene per come è finita, ma le modalità lasciano l’amaro in bocca. Perché è una persona che ha pagato 15 anni di libertà individuale; ha dovuto ammettere delle responsabilità che non abbiamo ben capito quali siano, se poi parliamo di informare la gente, su quello che è successo in termini di crimini di guerra e anche su come è stato gestito il nostro governo in alcuni anni».

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