Il Media Pluralism Monitor è un progetto di ricerca che valuta lo stato di salute degli ecosistemi mediatici in Europa, evidenziando le minacce al pluralismo e alla libertà dei media negli Stati membri dell’Unione europea e nei paesi candidati. Nel suo ultimo report, colloca l’Italia nella fascia a rischio medio e segnala un alto tasso di rischio per il pluralismo nella Rai. Niente di nuovo sotto il sole ma da decenni il nodo vero è: prendiamo atto che è una privatizzata. Aboliamo il canone. Ma questo non ha mai avuto il coraggio di farlo né la destra né la sinistra.
Il dossier completo si può scaricare cliccando sul link https://cadmus.eui.eu/handle/1814/77028. Riportiamo uno stralcio dove si analizza la situazione del servizio pubblico radiotelevisivo: “L’indipendenza del Servizio pubblico radiotelevisivo rimane, in modo allarmante, a un livello di rischio elevato. Persistono preoccupazioni sulla governance della Rai, le cui nomine dirigenziali sono contraddistinte da una forte influenza governativa e dalla spartizione politica. La nuova maggioranza ha esplicitamente cercato un maggiore controllo sulla Rai, sostenendo la necessità di una televisione pubblica allineata con i vincitori delle elezioni”.
“Durante il 2023 sono state effettuate numerose nomine che riflettono il mutato panorama politico dopo le elezioni: tra queste, il nuovo amministratore delegato Roberto Sergio e i nuovi direttori dei Tg1 e Tg2. La nuova maggioranza politica ha cercato di ampliare significativamente la propria influenza e, di conseguenza, si è verificata la fuoriuscita di noti giornalisti e conduttori Rai, quali Fabio Fazio e Lucia Annunziata. Questi eventi sottolineano l’imperativo di riforme sostanziali. La principale fonte di finanziamento continua ad essere il canone Rai. La Legge di Bilancio 2024 ha ridotto il canone per uso privato da 90 a 70 euro, sollevando ulteriori interrogativi sull’adeguatezza del finanziamento pubblico e sull’indipendenza della Rai”.
Occorre “procedere immediatamente con l’attuazione Regolamento europeo sulla libertà dei media; modificare la legislazione italiana riguardante la nomina e la revoca dei membri del consiglio di amministrazione e dell’amministratore delegato della Rai, garantendo che le procedure mirino a garantirne l’indipendenza”.
“Provvedere, a partire dal prossimo rinnovo del consiglio di amministrazione della Rai nel 2024, affinché il consiglio venga nominato sulla base di procedure trasparenti, aperte, efficaci e non discriminatorie e sulla base di criteri trasparenti, oggettivi, non discriminatori e proporzionati. Prevedere che la durata del mandato dei consiglieri dovrà essere di almeno cinque anni, sufficiente per l’effettiva indipendenza del servizio pubblico radiotelevisivo. Garantire che la Rai disponga di risorse finanziarie adeguate, sostenibili e prevedibili, corrispondenti al compimento del suo mandato di servizio pubblico e alla sua capacità di sviluppo”.
L’indipendenza politica dei media
Sull’indipendenza politica dei media in generale, l’Italia ottiene un punteggio del 52%. Non meglio né peggio di Francia, Spagna e i Paesi Balcanici, ma superata di gran lunga da Portogallo, Germania, Paesi Bassi, Danimarca e Norvegia. Per le aree “non virtuose”, il report raccomanda di “salvaguardare l’indipendenza politica dei media: è una preoccupazione urgente, data la presenza di un controllo politico diretto o indiretto sui principali organi di informazione. I rischi per l’autonomia editoriale derivano da fragili garanzie regolatorie, che consentono interferenze nelle nomine editoriali”.
Si invita a “introdurre una legislazione per limitare significativamente l’intreccio tra potere politico e organi di informazione o agenzie di stampa. Adottare una riforma della legislazione sui conflitti di interesse che stabilisca una disciplina unitaria applicabile alle posizioni governative a tutti i livelli”.
Rischio aumentato
In Italia, rispetto al precedente rapporto, “il livello di rischio è aumentato, con segnali preoccupanti riguardanti le condizioni dei giornalisti e la possibilità che siano soggetti a pressioni e minacce. Le riforme legislative in materia di diffamazione e di garanzie contro le SLAPP (nuove regole dall’Ue per limitare le azioni legali vessatorie che hanno l’intento di mettere a tacere e intimidire le voci critiche, ndr), rimaste in sospeso, contribuiscono a questo rischio, aggravato dall’aumento dei procedimenti penali e civili contro i giornalisti, anche da parte di membri del governo”.
A livello generale, l’uguaglianza di genere nei media si conferma quale l’indicatore più problematico e riflette una sottorappresentazione “grave, sistematica e ingiustificata del genere femminile nella governance delle aziende editoriali, nei vertici degli organi di stampa e anche nella partecipazione a programmi di informazione e politica”.