La sentenza n. 242 del 2019 sul caso di Dj Fabo è un precedente dai principi validi, in assenza di una legge sul cosiddetto “fine vita”. Vittima di un incidente stradale nel 2014 che lo ha lasciato tetraplegico e cieco, Dj Fabo ha scelto il suicidio assistito tre anni dopo, accompagnato in Svizzera dall’attivista per i diritti civili Marco Cappato.
Cappato fu assolto dall’accusa di istigazione e aiuto al suicidio dalla Corte d’Assise di Genova nel 2021, insieme a Mina Welby, processata per lo stesso motivo in relazione alla scomparsa di Piergiorgio Welby. Ma la materia è talmente controversa da coinvolgerlo, questa volta negativamente, in un altro processo
La Corte Costituzionale ha stabilito che “nella perdurante assenza di una legge che regoli la materia, i requisiti per l’accesso al suicidio assistito restano quelli stabiliti dalla sentenza del 2019, compresa la dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale, il cui significato deve però essere correttamente interpretato in conformità alla ratio sottostante a quella sentenza”.
La Consulta si è pronunciata in merito al caso di un malato di sclerosi multipla, che nel dicembre 2022 è ricorso al “suicidio medicalmente assistito” in una clinica Svizzera.
Nel testo, si legge che la “irreversibilità della patologia, la presenza di sofferenze fisiche o psicologiche, che il paziente reputa intollerabili oppure la dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale, e la capacità del paziente di prendere decisioni libere e consapevoli, devono essere accertati dal servizio sanitario nazionale”.
Con questa sentenza, la n. 135, si dichiarano infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal gip di Firenze sull’articolo 580 del codice penale, che miravano a estendere l’area della non punibilità del suicidio assistito oltre i confini stabiliti dalla Corte con la precedente sentenza del 2019.
Il procedimento penale contro Marco Cappato, Felicetta Maltese e Chiara Lalli, che accompagnarono un malato di sclerosi multipla in stato di quasi totale immobilità ad accedere al suicidio assistito in una struttura privata svizzera, deve continuare il suo iter.
Patologia irreversibile
Il giudice aveva verificato che il paziente si trovava in una condizione di acuta sofferenza, determinata da una patologia irreversibile e aveva formato la propria decisione in modo libero e consapevole, ma non era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale. Pertanto la Consulta ha ritenuto che non sussistessero tutte le condizioni di non punibilità del suicidio assistito fissate dalla Corte nella sentenza n. 242 del 2019.
D’altra parte, la Corte di Cassazione ha validato tutte le potenziali richieste di suicidio assistito, nei casi imposti dai limiti della sentenza n. 242, decidendo in sostanza che tutti i procedimenti penali saranno valutati volta per volta dai tribunali.
Sostegno vitale
Come nella vicenda di Dj Fabo, alla condizione di essere legati a delle macchine per la sopravvivenza si aggiunge ora la nozione di sostegno vitale, ovvero anche alcune pratiche svolte dai caregiver o dai familiari che assistono la persona malata.
Quel verdetto stabiliva – e restano valide anche attualmente – le condizioni richieste per permettere la pratica del suicidio medicalmente assistito: la richiesta deve essere di una persona che sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale.