Il femminicida “ha vissuto un disagio psicologico poco a poco evoluto in ansia e, quindi, angoscia”. Questo significa che in un “periodo di stress” tutto è lecito? Ma in che Paese viviamo?
Durante la pandemia uccise, soffocandola, la sua fidanzata. Per questo venne condannato all’ergastolo per omicidio aggravato. Ma per la Corte di Cassazione i giudici di primo e secondo grado non avrebbero considerato che lo stress legato al Covid-19 avrebbe avuto un peso sul femminicidio della 27enne Lorena Quaranta per mano del fidanzato, Antonio De Pace.
Così la Corte ha annullato totalmente le sentenze precedenti. Ora, nel nuovo appello De Pace potrebbe vedersi annullato l’ergastolo e perfino concesse le attenuanti generiche.
Secondo la Cassazione, “in una frangente storico drammatico, in cui l’umanità intera è stata chiamata praticamente dall’oggi al domani a resistere a una pericolo sino a quel momento sconosciuto, invasivo e in apparenza inarrestabile”, il femminicida “ha vissuto un disagio psicologico poco a poco evoluto in ansia e, quindi, angoscia”.
Questo significa che in un “periodo di stress” tutto è lecito? Questa sarebbe giustizia? Tutto questo è follia. E questo Paese non smette mai di stupire.
Ripercorrendo la storia
La vicenda risale a marzo 2020, quando in gran parte del mondo si lottava contro il Covid. Lorena Quaranta era prossima alla laurea in medicina. Da qualche settimana accusava mal di gola. De Pace, un infermiere, forse perché convinto che lei avesse contratto il virus, aveva deciso di tornare dai suoi parenti, in Calabria. La ragazza lo aveva pregato di restare per portarle delle medicine. De Pace, dopo una lite con la compagna, la strangolò nell’appartamento di Furci Siculo (Messina), dove convivevano da circa un anno.
Dopo aver tentato due volte il suicidio, l’uomo avvertì le forze dell’ordine.
Ci sono casi in cui non c’è circostanza che tenga, e questo è uno di quelli
Condannato in Appello all’ergastolo per omicidio aggravato, secondo i giudici della prima sezione penale della Cassazione deve essere sottoposto a un nuovo processo. “La sentenza – scrivono – non tiene conto della causa che ha provocato la condizione di agitazione”, cioè la pandemia.
Questa situazione averebbe anche “ostacolato la pronta attivazione di quei presidi, di ordine psicologico, affettivo, relazionale e sanitario diretti a mitigare gli effetti e a prevenirne l’escalation”.