Yara Gambirasio aveva solo 13 anni ed è morta ignobilmente, ritrovata tre mesi dopo l’ultima volta che è stata vista in palestra a Brembate di Sopra, provincia di Bergamo, il 26 novembre 2010. Una serie in cinque puntate su Netflix ricostruisce un fatto di cronaca nera tra i più clamorosi, adombrando una ipotesi innocentista per Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per omicidio. I genitori della vittima screditano totalmente la fiction, indignati e furibondi.
Nella docuserie Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio si ascoltano le voci di Maura Panarese e Fulvio Gambirasio, i genitori dell’adolescente. Sono le loro dichiarazioni agli inquirenti dopo la scomparsa della figlia e i messaggi sulla segreteria telefonica di Yara per chiederle di tornare a casa.
Mentre i magistrati che hanno indagato sul caso, come la pm Letizia Ruggeri, e altre persone coinvolte, dallo stesso Massimo Bossetti all’ex moglie Marita Comi, hanno deciso di partecipare alla sceneggiatura della fiction, i genitori di Yara si sono chiamati fuori, senza rilasciare alcuna dichiarazione esclusive davanti a una telecamera.
All’avvocato Andrea Pezzotta, la coppia ha affidato la tutela dei propri diritti d’immagine e non solo. «Alla luce di questo tipo di narrazione innocentista», denunciano, «siamo ben contenti di esserne rimasti fuori».
Il caso Yara, oltre ogni ragionevole dubbio in effetti pare proprio un progetto dall’obiettivo manifesto già nel titolo: mettere in dubbio la solidità degli elementi che hanno portato alla condanna all’ergastolo per omicidio di Massimo Bossetti.
La pistola fumante
A partire da quella che nelle cronache d’epoca è stata dichiarata “la pistola fumante”, cioè la prova del Dna su Bossetti. Ma la prova genetica non è l’unico elemento ad aver convinto i giudici sulla colpevolezza di Bossetti. Ripercorre la vicenda delittuosa la penna di punta del Corriere della Sera, Fiorenza Sarzanini: “Dopo aver esaminato le tracce ritrovate sugli slip e su altri indumenti di Yara, gli analisti estraggono un Dna classificato come “Ignoto 1”. In quel momento non c’è alcun sospettato da sottoporre ad analisi comparativa e per questo si decide di prelevare campioni a tappeto di tutti gli uomini abitanti in quella zona. Una raccolta senza precedenti, una verifica che coinvolge migliaia di persone. E proprio grazie alla comparazione alla fine si scopre che quel Dna appartiene a un componente della famiglia Guerinoni. Tra le persone sottoposte all’analisi c’era stato infatti Damiano Guerinoni. Il suo Dna combacia in parte ma non è quello di “Ignoto 1”. Il ceppo familiare è comunque giusto e così, dopo una serie di investigazioni su tutti i componenti si arriva a Giuseppe Benedetto Guerinoni. Il primo esame sulla sua saliva trovata su una vecchia cartolina combacia, ma la conferma arriva con la riesumazione del cadavere: “Ignoto 1” è suo figlio. Un figlio sicuramente illegittimo perché all’anagrafe non risulta mai registrato un figlio di Giuseppe Benedetto oltre ai suoi, che però hanno un Dna che non combacia con “Ignoto 1”. È la svolta dell’inchiesta ed è anche la dimostrazione della genuinità della scoperta. Perché nessuno sa chi possa essere il figlio illegittimo, dunque bisogna continuare a cercare. Investigatori e magistrati hanno dunque un possibile identikit senza identità. Le indicazioni però sono nette: l’uomo che ha lasciato tracce sugli slip di Yara è il figlio illegittimo di Guerinoni; sugli indumenti ci sono tracce di una polvere particolare e dunque è probabile che sia un muratore o comunque che lavori nel campo dell’edilizia; è una persona che sicuramente frequenta la zona o comunque ha avuto modo di incontrare Yara. A questo punto le indagini si concentrano su tutte le donne della zona partendo da quelle che potrebbero aver incontrato Guerinoni quando erano giovani. Tra le centinaia di signore sottoposte a test c’è Ester Arzuffi. Le verifiche consentono di scoprire che sicuramente conosceva bene Guerinoni. La donna viene sottoposta ad analisi e a questo punto c’è il “match”, la traccia di Dna è completa. Ester Arzuffi ha due figli, entrambi devono essere sottoposti al test. Il 15 giugno 2014 si decide di prelevare il Dna di Massimo Bossetti con un controllo casuale. Non c’è alcun dubbio: “Ignoto 1″è lui.
«È il primo passo, certamente decisivo. Ma non è l’unico. Perché a suo carico c’è il fatto che sia un muratore, che le celle del suo cellulare siano state agganciate quella sera in una zona compatibile con la palestra dove si trovava Yara. Ma soprattutto perché Bossetti ha fornito un alibi falso. Quando gli è stato chiesto dove si trovava la sera in cui è scomparsa Yara ha dichiarato di essere stato a casa, ma si trattava di una bugia ed è stato lui stesso ad ammetterlo in seguito. Inoltre, Bossetti non ha mai saputo di essere figlio illegittimo, così come non lo sapeva la sua sorella gemella, né suo fratello, che non è figlio di Guerinoni ma non è figlio di quello che tutti hanno sempre ritenuto il loro vero padre: Giovanni Bossetti. È lo stesso documentario di Netflix a dimostrare che nessun familiare era a conoscenza di questa circostanza tanto che mostra la rabbia di Bossetti nei confronti della madre per avergli nascosto la verità. E la donna, forse nel tentativo di giustificarsi, accusa il suo ginecologo di averle praticato per ben due volte un’inseminazione artificiale a sua insaputa. Una versione ritenuta da tutti non credibile”.
L’assenza di movente
“Tra gli elementi che il documentario porta a discolpa di Bossetti c’è l’assenza di movente. In realtà Yara è morta di stenti proprio perché fu abbandonata nel campo di Chignolo d’Isola dall’uomo che era con lei che, probabilmente dopo averla tramortita, credeva fosse morta. Si tratta dunque di un evento nato come adescamento che potrebbe essere degenerato, non di un omicidio premeditato e dunque non c’è un movente”.
Su Netflix l’ex muratore Massimo Bossetti si dichiara innocente. «Vorrei dire al pubblico ministero che mi ha rovinato la vita, Non so perché sono qui». Racconta di essere stato quasi convinto dagli inquirenti a compilare un foglio con la sua confessione, ma di averlo accartocciato il foglio e lanciato lontano.