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Il papà di Turetta chiede scusa solo perché vuole ancora bene a suo figlio: “Mai pensato che i femminicidi siano normali. Temevo il suicidio di mio figlio”

I genitori di Filippo Turetta - Dillingernews.it

Immaginate essere il padre di un ragazzo che ha fatto un gesto gravissimo, alimentato a dismisura dai media e dai giornali, in un momento storico dove il femminismo sta prendendo il sopravvento. Nonostante tutto, voi continuate ad amare vostro figlio, e venite costretti a chiedere scusa pubblicamente per questo

Nicola Turetta, il papà di Filippo che ora si trova in carcere con l’accusa di avere ucciso Giulia Cecchettin, chiede scusa pubblicamente. Chiede perdono perché ancora vuole bene a suo figlio.

Ed è costretto a farlo il giorno dopo l’uscita sui media delle frasi pronunciate durante la visita nel carcere veronese di Montorio in cui cercava di tranquillizzare il suo ragazzo.

“Chiedo scusa per quello che ho detto a mio figlio. Gli ho detto solo tante fesserie. Non ho mai pensato che i femminicidi fossero una cosa normale. Erano frasi senza senso.
Temevo che Filippo si suicidasse. Quegli instanti per noi erano devastanti. Non sapevamo come gestirli. Vi prego, non prendete in considerazione quelle stupide frasi. Vi supplico, siate comprensivi”.

Così Nicola Turetta, padre di Filippo accusato di avere ucciso Giulia Cecchettin, intervistato sull’edizione on line del Corriere della Sera torna sul colloquio intercettato tra lui e il figlio in carcere. Una padre che chiede venia in ginocchio e si deve giustificare solo perché ancora, nonostante tutto, ama in modo incondizionato il figlio, è una vergogna per l’Italia.

“Volevo solo evitare che mio figlio si suicidasse”

E così i giornali, perché qualsiasi cosa fa notizia, hanno pensato di creare una gogna mediatica attorno a un padre che cercava di salvare la vita di suo figlio. Perché ora la società è questa. Ora esiste la distinzione tra la parola “omicidio” e “femminicidio” perché una è sessista altrimenti. Ora è l’epoca dei diritti giusto? Della parità di genere e i colori dell’arcobaleno. Ma allora perché Filippo – ma soprattutto il padre -, non ha il diritto di amare suo figlio?

«C’erano stati tre suicidi a Montorio in quei giorni. Ci avevano appena riferito che anche nostro figlio era a rischio -continua Nicola Turetta -, non ho dormito questa notte. Sto malissimo. Sono uscito di casa per non preoccupare ulteriormente mia moglie e l’altro mio figlio. Ora si trovano ad affrontare una gogna mediatica dopo quel colloquio pubblicato dai giornali – ha spiegato -. lo ed Elisabetta avevamo appena trovato la forza di tornare al lavoro. Abbiamo un altro figlio a cui pensare, dobbiamo cercare di andare avanti in qualche modo, anche se è difficilissimo. Domani chi avrà il coraggio di affrontare gli sguardi e il giudizio dopo quei titoloni che mi dipingono come un mostro.
Ero solo un padre disperato. Chiedo scusa, certe cose non si dicono nemmeno per scherzo, lo so. Ma in quegli istanti ho solo cercato di evitare che Filippo si suicidasse».

Elena Cecchettin non aspettava altro che alzare l’ennesimo inutile polverone mediatico

Era il 3 dicembre scorso quando lui e la moglie Elisabetta Martin incontravano per la prima volta, dopo l’omicidio e la fuga in Germania, il figlio reo-confesso, nella saletta del carcere.

“Hai fatto qualcosa, però non sei un mafioso, non sei uno che ammazza le persone, hai avuto un momento di debolezza.
Non sei un terrorista. Devi farti forza. Non sei l’unico. Ci sono stati parecchi altri. Però ti devi laureare..” le frasi che Nicola ha rivolto a Filippo, intercettate e contenute nel fascicolo processuale e sulle quali la stessa Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, sabato 27 è intervenuta, attraverso i social, ribadendo il problema della normalizzazione dei temminicidi che avviene nei contesti patriarcali. E questo fa capire quando lei non vedesse l’ora che accadesse questo. Che la famiglia Turetta facesse un passo falso per rialzare l’ennesimo inutile polverone mediatico. Perché pensare che un padre disperato che cerca di non portare al suicidio il suo ragazzo normalizzi il femmincidio, persiste un problema.

Quelle frasi pronunciate da Nicola Turetta il 3 dicembre scorso, ora, sono un nuovo macigno da sopportare per la famiglia Turetta, in particolare per il padre, che ha parlato solo in nome dell’amore per il figlio, anche se è un assassino. E questo dovrebbe far vergognare un po’ tutti.

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Un ragazzaccio appassionato di sport, cultura e tutto ciò che è assorbibile. Stanco della notizia passiva classica dei giornali e intollerante all'ipocrisia e al perbenismo di cui questo paese trabocca. Amante della libertà e diritto della parola, che sta venendo stuprata da coloro che la lingua nemmeno conoscono. Contrario alla censura e alla violenza, fatta qualche piccola eccezione. Ossessionato dall'informazione per paura di essere fregato, affamato di successo perché solo i vincitori scriveranno la storia.