Carlo Verdone è un’icona della romanità più genuina e scanzonata. L’amore che sente per la sua città ha permeato i suoi film e i suoi profili social. Dal meccanico di quartiere alla trattoria spartana, gli piace postare foto che lo testimonino. Ma ora si è stufato e medita di andarsene. Non gli piace la china che ha preso la gestione della caput mundi.
“Non è un problema solo mio”, confessa al Fatto quotidiano. “Conosco tanti amici che stanno valutando concretamente di andarsene da Roma. Il caldo rende ancora più invivibile una città così complicata. Ma il declino di questa città non è stagionale, è costante”.
“Quando c’è stato l’incendio di Monte Mario ero lì vicino, stavo lavorando in piazzale Clodio. Ho provato a tornare a casa, ma tutte le strade erano chiuse per far passare i pompieri e la polizia. Ero pure in scooter, in teoria doveva essere più semplice venirne fuori, invece sono finito incastrato in una specie di bolgia infernale: come mi muovevo trovavo una strada chiusa”.
“Ero ostaggio, non riuscivo più a tornare a casa. Ho girato in via Ottaviano, pensavo di salvarmi, non l’avessi mai fatto: un cantiere, altra strada chiusa. Ho scoperto che a Roma ci si può ancora perdere alla mia età”.
“Siamo nel 2024: le cose andavano fatte molto, molto prima. Il problema è che abbiamo tutti paura che i cantieri si possano allungare oltre misura. Allora no, diventerebbe l’ennesimo guaio. Siamo abituati a un sistema burocratico spaventoso: si rompe un arco, una galleria, arrivano le transenne, ti sequestrano una strada e non sai quando te la ridanno. Entrano in ballo una, due, tre soprintendenze“.
Verdone ricorda poi che qualche anno fa un fulmine colpì la statua di Garibaldi al Gianicolo: “Non so quanti anni ci sono voluti per rimetterla a posto, per tutto quel tempo lì non si poteva più girare una scena”.
Bagno a cielo aperto
Il j’accuse più pesante di Verdone è descrivere Roma come “il bagno a cielo aperto di un autogrill. Ho sollevato il problema dei gabinetti pubblici, che è sotto gli occhi di tutti. Provi ad affacciarsi per una ventina di minuti da Ponte Garibaldi o da Ponte Sisto, vedrà qualcuno che si cala i pantaloni e lascia un bel ricordo. Glielo garantisco al cento per cento. Mica solo pipì, eh, pure qualche regalo più sostanzioso”.
“Dalla mia finestra vedo ragazzi, ubriaconi (romani e turisti) che si nascondono dietro macchine, statue, alberi. Ogni volta che torni a casa, ti devi controllare le suole delle scarpe. È indecoroso, impensabile per le capitali europee normali. Cara amministrazione, che ci vuole a mettere dei vespasiani?”.
Gabbiani invadenti
“Bisogna porre rimedio”, si inalbera Verdone. “Pure il gabbiano è il risultato di una città sporca. Ci sono sempre stati, ma un numero così incredibile non l’avevamo mai visto. E poi i piccioni. Nel nostro condominio non sappiamo più come fare: non vogliamo ammazzarli, poveracci, ma arrivano in gruppo, dieci alla volta, non hanno più paura di nulla; stanno massacrando i nostri balconi. Roma è sporca da troppo tempo e questa è la conseguenza”.
Come ti giri, “non vedi più una strada normale. Non c’è un centimetro di muro che sia stato risparmiato. Quando una casa è trascurata, invece, ognuno si sente in diritto di trattarla male”.