Il quotidiano israeliano Haaretz ha raccolto alcune testimonianze delle vittime dei bombardamenti nella Striscia
«Se non saremo più in vita, ricordate ciò che abbiamo fatto e i nostri nomi, e scrivete sulla mia lapide in modo ben visibile: “Qui giace qualcuno che amava la vita e ha fatto tutto ciò che era in suo potere per trovare un modo per viverla”».
È l’addio di Yaser Barbakh, 26 anni, morto nella sua casa a Rafah insieme alla sua famiglia il 23 ottobre 2023 sotto i bombardamenti di Israele sulla Striscia di Gaza seguiti all’attacco di Hamas di poche settimane prima.
Ed è solo uno dei tantissimi messaggi affidati ai social dai civili che vivevano nella Striscia e temevano di rimanere uccisi. Forse ancora peggio: che la loro vita e la loro storia venisse dimenticata per sempre, e che al posto dei loro nomi rimanesse solo il numero delle vittime. Quando avrà fine tutto questo?
Il quotidiano israeliano Haaretz ha raccolto alcuni di questi racconti, per esaudire il loro desiderio e raccoglierne la testimonianza. Tra questi c’è Belal Iyad Akel, che ha scritto il suo testamento social nel maggio 2021. Ben prima dell’ultima sanguinosa accensione del conflitto in Medio Oriente, durante l’Operazione Guardiani delle Mura.
«Mi chiamo Belal, ho 23 anni e questo è il mio aspetto nella foto del profilo. Non sono un giovane qualunque, né un numero. Mi ci sono voluti 23 anni per diventare come mi vedete ora. Ho una casa, degli amici, un ricordo e tanto dolore», si raccontava, per poi rilanciare il suo messaggio in questi mesi. Akel è poi morto a luglio, sotto le bombe, insieme a gran parte della sua famiglia.
Le altre storie
«Vi chiedo scusa per essere sparito negli ultimi giorni ma la situazione qui è molto difficile», diceva invece Yaser Barbakh, laureato in economia e scienze politiche presso l’Università di Alessandria d’Egitto e studente a Gaza, «vi chiedo solo di continuare a far sentire la nostra voce nel mondo, continuate a diffondere la notizia delle sofferenze che stiamo vivendo. Pregate per me».
Poi dieci giorni più tardi è morto sotto le macerie. E ancora. Ayat Khaddoura, 26enne residente un paio di chilometri a sud dal confine con Israele nella Striscia, in un video raccontava la sua nuova quotidianità tra rifugi, sirene, allarmi: «È tutto molto spaventoso», confidava con la voce rotta, prima di scoppiare a piangere e chiudere il filmato. Dopo la sua morte, un’altra delle 40mila vittime nella Striscia – secondo i dati diffusi dal ministero della Salute di Hamas -, la famiglia ha tenuto in vita l’account per continuare a raccontare la sua storia. Quella di una ragazza normale, uguale a quella di tante altre ma unica come tutte.
Quando avrà fine tutto questo?
Come quella di Mohammed Barakat, «il Leone», così soprannominato per le sue abilità calcistiche, una piccola celebrità a Khan Yunis. Morto l’11 marzo, a 39 anni, quando il suo quartiere è stato bombardato.
«Sono in una situazione difficile», diceva nel suo ultimo messaggio lasciato ai social per lasciare un’altra traccia di sé, immaginando che non avrebbe avuto molto tempo ancora, «pregate per me. Madre e padre, mi siete molto cari. Haitham, i miei amati figli, vi saluto. Ora ho finito e vi chiedo di continuare a pregare in silenzio».