L’indiscrezione del Financial Times. I 41 milioni di utenti sarebbero stati sottostimati per restare sotto la soglia che fa scattare una supervisione più severa. La situazione potrebbe peggiorare sul serio
Dopo il fermo e il rinvio a giudizio del fondatore di Telegram Pavel Durov in Francia, Telegram finisce anche nel mirino della Commissione europea che sta indagando se la società abbia violato il Digital Services Act (Dsa), ovvero le nuove norme digitali dell’Ue, sottostimando la propria base di utenti per evitare normative più severe applicabili alle grandi piattaforme.
Lo riporta in prima pagina il Financial Times. I funzionari della Commissione sospettano che i 41 milioni di utenti dichiarati da Telegram nell’Unione europea siano stati volontariamente sottostimati, per evitare di superare la soglia per una supervisione più severa fissata a 45 milioni.
“Abbiamo un modo, attraverso i nostri sistemi, per determinare quanto siano accurati i dati sugli utenti”, ha spiegato Thomas Regnier, portavoce della commissione per le questioni digitali. “E se pensiamo che qualcuno non abbia fornito dati accurati, possiamo assegnarli noi unilateralmente sulla base della nostra stessa indagine”.
Secondo la normativa Dsa questo mese Telegram avrebbe dovuto comunicare un numero di utenti aggiornato, rispetto ai 41 milioni dichiarati a febbraio, cosa che la società non ha fatto. Negli ultimi mesi il suo numero di utenti globale è cresciuto costantemente, avvicinandosi alla soglia del miliardo, cifra che lo stesso Durov ha detto dovrebbe essere superata entro la fine dell’anno. Diciamo che c’è un po’ di differenza ecco…
Non si mette bene per il caso Telegram
L’Europa ha designato nei mesi scorsi 19 piattaforme come “molto grandi”, una soglia oltre la quale le società sono sottoposte a una serie di obblighi più stringenti, tra le altre cose, sulla moderazione dei contenuti e sulla condivisione di dati. Tra queste “very large online platforms (Vlop)” ci sono quasi tutti i campioni di Big Tech americani, come Google, Meta, X, LinkedIn, ma anche colossi cinesi come TikTok e Alibaba, e giganti europei dell’e-commerce come Booking e Zalando.
Quest’ultima è stata la prima società a fare formalmente ricorso contro la designazione.
Questo esame sui numeri potrebbe in realtà essere solo il primo passo di una procedura più articolata nei confronti di Telegram. Il Dsa prevede infatti che le piattaforme mettano in campo sistemi di moderazione dei contenuti e che rispondano in maniera celere alle richieste delle autorità, che siano informazioni, la cancellazione di un contenuto o l’oscuramento di un profilo.
Una multa pari al 6% del fatturato globale
Per chi viola le disposizioni, come Telegram sembrerebbe aver fatto, sono previste multe fino al 6% del fatturato globale.
Una complicazione è data dal fatto che a muovere le contestazioni dovrebbe essere l’autorità nazionale del Paese in cui la piattaforma ha la sua “base” europea. Nel caso di Telegram è il Belgio, che però non ha ancora designato l’autorità competente per il Dsa e per questo si è appena visto recapitare da Bruxelles una procedura di infrazione.
Una eventuale violazione del Dsa da parte di una società è di natura amministrativa, non penale, ed è punibile con una multa (fino al 6% del fatturato globale nei casi più gravi).
Le imputazioni preliminari che sono state formalizzate ieri a Durov in Francia, a partire dalla complicità per gli illeciti compiuti dagli utenti della sua piattaforma Telegram, sono invece personali e penali, una differenza sostanziale. Ma lo sfondo in cui si muovono le due indagini è lo stesso, cioè il tentativo da parte delle autorità di spingere le grandi piattaforme a contrastare i contenuti illeciti, violenti, discriminatori o manipolatori diffusi attraverso i loro canali. E la resistenza di quelle piattaforme, più o meno decisa, più o meno esplicita, più o meno legittima, a farlo.