Quel che colpisce nel caso Sharon Verzeni è il contrasto tra la macchina delle indagini, fondata sulla logica, e la furia immotivata del delitto. Moussa Sangare ha confessato. Adesso vengono chiarite passo per passo, metro per metro, le sue mosse nella disperata notte tra il 29 e il 30 luglio, a Terno d’Isola. Moussa percorre via Castegnate e avvista Sharon, con le cuffiette ad ascoltare musica mentre cammina. La raggiunge alle 00.52 all’altezza del civico 32. Le è di spalle, afferra un braccio e la accoltella al petto; subito, altri tre fendenti alla schiena.
La telecamera di una banca all’imbocco di via Castegnate ha ripreso l’assassino prima del suo folle gesto. Un’ombra più che un’immagine, per un mese unica traccia a disposizione degli inquirenti. Finché due cittadini marocchini raccontano ai carabinieri di aver notato due persone sospette nella zona dell’aggressione.
«Le persone segnalate», precisa l’Arma, «erano nei pressi del luogo del delitto ma non c’entravano nulla». I due testimoni quella notte erano nei pressi di via Torre, una traversa di via Castegnate. I carabinieri, ragionando su quella posizione, chiedono: «Avete visto uno scappare lungo via Castegnate?». «No, abbiamo visto uno che risaliva la via». Si arriva così all’elemento decisivo, la sequenza temporale. I due testimoni sono infatti ripresi in via Torre alle 00,27. E a quell’ora passa un uomo in bici, lo stesso che, minuti dopo, viene inquadrato in piazza 7 Martiri, poi dalla telecamera della banca di via Castegnate, da un’altra alla fine di via Castegnate e, soprattutto, da quella di Chignolo d’Isola che, a differenza delle altre, fornisce un’immagine più chiara. L’unico buco non coperto da telecamere è il tratto dove avviene l’omicidio.
Centinaia di militari in borghese setacciano la zona. Fino a individuare una persona che per stazza, capigliatura e modo di andare in bici corrisponderebbe. Mercoledì sera il sospettato viene portato in caserma, come testimone. Dice di non sapere nulla, ma il suo racconto è incerto.
«Non so perché l’ho fatto»
Giovedì vengono convocati i due testimoni. Lo riconoscono: «È lui». Interrogato per tutto il giorno crolla ieri mattina. «Mi hanno chiamato alle 4 del mattino» dice l’avvocato d’ufficio Giacomo Maj. Alle 5,30 Moussa confessa: «Sono stato io, non so perché l’ho fatto». Parte anche il setaccio di Suisio, il paesino dove Sangare abita al pianoterra, in un appartamento occupato, con la madre e la sorella al piano di sopra. Leonardo, un vicino, lo riconosce in un video del 2016 del rapper Izi, alias Diego Germini: «Sì, è lui, ma adesso è molto cambiato, è dimagrito e ha tagliato i capelli».
Genitori del Mali, nato in provincia di Milano, Moussa sognava una carriera musicale. Ha tentato la carta X Factor ma è stato eliminato all’ultimo turno dei bootcamp. Ayman Shokr, titolare egiziano della pizzeria Le Piramidi, in piazza Papa Giovanni XXIII, dice di conoscerlo bene: «Moussa incideva i cd, so che anni fa desiderava andare a X Factor, ma non so come sia finita. L’ho visto quindici giorni fa, era qui al bar in piazza, in bicicletta. Stamattina un mio amico mi ha chiamato per darmi la notizia, ho detto: “Non ci credo, non è possibile”. Per me non è un ragazzo violento. Prima del Covid era andato in Inghilterra a lavorare come lavapiatti, poi era tornato».
Denunciato dalla madre e dalla sorella
Moussa da un anno a questa parte ha commesso varie violenze sulla madre e la sorella, che alla fine lo hanno denunciato. «Li sentivo litigare», conferma il vicino. «Quattro o cinque giorni fa l’ho visto qui alle 5.30, stavo andando al lavoro. Aveva gli occhiali da sole». «Qualche mese fa erano arrivati i carabinieri», testimonia una signora che abita di fronte. «Aveva menato la sorella». Nessuna patologia psichiatrica risulterebbe nota per Moussa, ma è probabile che il suo avvocato d’ufficio Giacomo Maj chiederà un approfondimento. In casa gli è stata sequestrata una sagoma umana cartonata utilizzata per il lancio dei coltelli.
Moussa Sangare nel 2016 appariva in un video, allora usava il nome d’arte Moses Sangare. Lo hanno visto oltre 14 milioni di persone, la canzone si intitola Scusa ed è firmata dal rapper Izi con la collaborazione di Moussa. Moses canta il ritornello del brano: “Scusa se non riesco mai a cambiare / E non ho soldi per portarti al mare / Scusa se non sono quello che volevi te / Ma non so lasciarti andare / Scusa se la mia vita è scritta male / E sbaglio sempre sul finale / Forse è troppo tardi, ma ti chiedo scusa”. In abito nero, con giacca e cravatta, Moussa aveva l’aria di un bravo ragazzo. Ora è al centro di un asperrimo dibattito, fantoccio da agitare per Salvini e la sua ideologia («Ha origine nordafricana e cittadinanza italiana», tuona il leader della Lega), un cane sciolto senza i famosi «tratti somatici dell’italianità». Il suo legale, temiamo, avrà troppo filo da torcere per tentare una difesa incentrata sull’infermità mentale. Come ha annunciato il procuratore aggiunto reggente Maria Cristina Rota, in conferenza stampa: «Uno che esce di casa con quattro coltelli ha un obiettivo evidente, contestiamo la premeditazione». Preoccupiamoci meno della prevenzione, non va più di moda sperare in controlli efficaci delle forze dell’ordine, si tratti di una cittadina della bergamasca ritrovo di spacciatori o di certe periferie allo sbando nelle grandi città.