Il giovane ragazzo di diciassette anni, che ha confessato l’omicidio della sua famiglia nella villetta di Paderno Dugnano ha detto che “il primo che dovevo colpire era mio fratello. Era sul letto, girato sul lato sinistro verso la finestra. La prima coltellata l’ho data alla gola, lui si è svegliato e ha urlato “papà”. Io gli ho tappato la bocca e gli ho sferrato altre coltellate. Sono andato in camera dei miei genitori. Hanno acceso la luce, io ero davanti a loro con il coltello in mano, mi hanno detto di stare calmo. Sono venuti in camera con me e li ho aggrediti”.
Il movente della strage di Paderno, come riportano gli atti, sarebbe un desiderio di rendersi autonomo: “Pensavo che distaccandomi dalla mia famiglia avrei potuto vivere in solitaria. Avrei voluto finire l’anno scolastico e poi non so. L’atto verso la mia famiglia mi avrebbe preparato a vivere”.
Tra i progetti c’era quello di andare ad abitare da solo e di combattere in Ucraina, e il suo tormento era un senso di “estraneità” verso il mondo e la famiglia: “Percepivo gli altri come meno intelligenti e ritenevo si occupassero di cose inutili, vedevano i problemi che io non vedevo”.
Un disagio cresciuto nel tempo: “già da qualche anno avevo maturato l’idea di vivere più a lungo delle persone normali, anche per conoscere il futuro dell’umanità. Così ho cominciato a distaccarmi dalle persone e sentirmi un estraneo, perché nessuno lo avrebbe capito”.