Giovanni Toti sceglie di patteggiare una condanna a 2 anni e 1 mese per i reati di corruzione impropria e di violazione della legge sul finanziamento dei partiti. Se l’accordo con la Procura sarà ratificato dal Giudice per l’udienza preliminare il 15 ottobre, avvalendosi della legge Cartabia vedrà convertita la pena in 1.500 ore di lavori di pubblica utilità e la confisca di 84.100 euro.L’ex governatore commenta a caldo: «La montagna di accuse ha partorito un topolino».
«Si riconosce», spiega Toti, «che gli atti prodotti dalla Pubblica amministrazione fossero totalmente legittimi, così come i versamenti sotto forma di contributi all’attività politica. Cadono quindi le accuse di corruzione e le altre ipotesi di reato con l’esclusione della cosiddetta “corruzione impropria”, ovvero per atti legittimi degli uffici».
Toti affida al Corriere della Sera le sue ragioni e un amaro sfogo. Proclamatosi sempre innocente, ora ha deciso di patteggiare: «Perché sul piatto la Procura ha messo qualcosa di irrifiutabile a fronte della prospettiva di decenni di udienze per un giudizio immediato, un secondo e forse un terzo filone di indagine che avrebbero occupato un ventennio di vita personale e del Tribunale».
«La seconda ragione è perché i pm hanno sostanzialmente confermato che non c’era un atto illegittimo tra quelli che, secondo loro, sarebbero stati da me influenzati così come, evidentemente, erano legittimi i finanziamenti al Comitato Toti. Io mi ritengo innocente perché ho agito per l’interesse pubblico».
«Fare un accordo non vuol dire necessariamente riconoscere le proprie colpe ma ritrovarsi a metà strada, anzi in questo caso molto oltre la metà. Le transazioni lasciano sempre l’amaro in bocca, vuol dire che da un lato non hai combattuto fino in fondo per rivendicare le tue ragioni ed essere totalmente scagionato, ma che dall’altro hai la soddisfazione di aver riconosciute molte delle tue ragioni».
«Mai attaccato i magistrati»
Le sue reazioni alla proposta di patteggiamento: «Francamente, viste le prime conseguenze dell’inchiesta, e cioè i domiciliari di un governatore, le dimissioni, pensavo che i pm avessero la sensazione di una centrale di malaffare di vastissime proporzioni». Che non è emersa, puntualizza il Corriere.
«Come abbiamo sempre sostenuto. Non ho mai attaccato i magistrati e non lo farò, ma secondo me hanno interpretato male ciò che avevano. Si può sbagliare, ma se la vita politica di una regione e la vita di tante persone possono essere devastate da qualcosa che poi produce un accordo su 1.500 ore di lavoro socialmente utile io penso che sia il legislatore a dover intervenire. Se mi avessero chiesto di farne tremila senza tutto questo, l’avrei fatto ben volentieri. È il Parlamento che, in un clima di estremo populismo, ha prodotto le leggi che hanno causato tutto questo. Se la politica non avrà il coraggio di cambiare alcune situazioni resterà sempre succube di se stessa, non delle Procure».
La montagna e il topolino
A Toti viene chiesti se giudica il patteggiamento un pareggio. «No, una vittoria. Sono passato da essere Al Capone ad aver parcheggiato la macchina in divieto di sosta. La montagna delle accuse ha partorito un topolino».
L’ex governatore conclude sputando un rospo: «Non ho visto un lungo corteo accompagnarmi verso il Golgota. In tutta franchezza, girando con la croce sulle spalle, tranne qualche eccezione, dietro c’era un imbarazzante vuoto».