Mio padre ripete spesso: «Vivo di dubbi, con un’unica certezza. Le donne». Oggi ne fa novanta, di anni, ma la sua filosofia è sempre quella. Per gli ottant’anni un festone gremito di colleghi e personalità in Toscana, per il 23 settembre 2024 si festeggia solo in famiglia. E che famiglia: la moglie Paola Penzo, che di cognome dovrebbe fare Pazienza; la figlia Amanda, attrice, quella della grande passione con Stefania Sandrelli; i due figli avuti da Paola, Nicolò e Tomaso; i nipoti Leone e Leda. Poi, un po’ schivo come lui, taciturno e timido come lui, il sottoscritto Giovanni, figlio della prima moglie Anna Fabbri. Ai fornelli un amico di sempre, Enrico Boitano, titolare del ristorante Bricco della Gallina a Breccanecca, sopra Lavagna. In tavola l’olio dei Paoli, quello del podere vicino a Piombino del nonno adorato e omonimo, tornitore in fonderia, un terreno avito che Gino ha riportato all’antico splendore.
A proposito di donne. Non conosco quasi nessuno che non solo abbia mantenuto un rapporto di amicizia e affetto con tutte e quattro le veramente importanti (ma anche con altre… non poche, beato lui), ma soprattutto che non abbia lasciato dietro di sé alcuna traccia di rivalità femminile. Anna, Ornella Vanoni, Stefania Sandrelli e Paola Penzo sono tutte amiche tra di loro. Non parliamo poi della solidarietà. È storia degli Anni Sessanta lo “scandalo” dell’amore per Stefania, minorenne, mentre era sposato con Anna.
Giovanni nasce a Genova il 13 luglio 1964, Amanda a Losanna il 31 ottobre 1964. Paparazzi scatenati e un caro amico, Pierre Forlani, allora giornalista a Stop, che gli fa le soffiate quando sono appostati per farlo scappare da uscite posteriori. Nell’estate del 1972, Gino mi fa: «Domani andiamo a conoscere tua sorella». Io: «Ma papà, io sono figlio unico». Lui: «No». Mi carica in macchina e lungo l’Autosole non spiccico una parola, frastornato. Entriamo dal cancello di una villa sulla Salaria, ci vengono incontro due alani, io non ho il coraggio di scendere dall’auto.
Invece sono due cuccioloni e si fanno accarezzare contenti. Anche se erano più alti di me. Entriamo in casa e da una scala vedo scendere una bambina meravigliosa. Amanda e io ci annusiamo come gattini, emozionati e imbarazzati. Ma è presto colpo di fulmine. Nel viaggio di ritorno a Milano, sui sedili posteriori, ci raccontiamo mille cose senza alcuna interruzione. E pensare che alle elementari mi chiamavano “lupo solitario”. Mia madre, Anna, accoglie in casa quella cuccioletta un po’ spaurita come e forse più di una figlia sua, il che un po’ mi mette gelosia. Abbiamo due letti a castello in una bellissima e ampia camera con camino e una specie di rientranza che sembra una grotta, che diventerà il luogo dei nostri giochi segreti con Ken e Barbie, guidati da noi in avventure varie con epilogo fisso: l’accoppiamento carnale dei due pupazzi.
Amanda fu trasferita a Milano perché Stefania aveva dei problemi con l’allora marito Niki: vi immaginate quanta intelligenza e lungimiranza possa aver avuto una mamma 26enne per sopportare uno strappo del genere? E quale umanità e senso materno abbia avuto Anna per condividere con convinzione il ragionamento di Gino sulla crescita serena di una figlia? Una bambina nata da una relazione extraconiugale, due gravidanze a distanza di tre mesi.
Il Natale dei “semini”
Forse, la chiave per capire il Gino padre risale a un Natale a casa dei suoi genitori Aldo e Rina. Una delle più belle serate della mia vita e credo anche di Amanda. Il nonno ci fece almeno cinque regali ciascuno, papà perdemmo il conto, la nonna, cuoca abilissima, portò a tavola una prelibatezza dopo l’altra.
Dopo il caffè e il whiskino dei “grandi”, Amanda chiese a papà come nascono i bambini. Lui, pittore prima che cantante, acchiappa fogli e matita e lo spiega disegnando. Guardammo delinearsi i contorni degli organi sessuali: «Ecco, questo è il Pipo e questa è la Pipa», diceva Gino. Poi l’utero, le ovaie, gli spermatozoi, chiamati “semini”. Nonna Rina era cresciuta con una rigida educazione cattolica. Quando il marito la esortava ai “doveri coniugali”, il giorno dopo andava in Chiesa a confessarsi. Davanti a quella scena nel suo salotto buono, era come calcificata. A un certo punto riuscì solo a dire, in veneto: «Gino, i son putei!» (Gino, sono dei bambini!). «Ti xe matto?».
Ci sarà sempre una gatta
Gino ha composto una canzone per spiattellare la propria pazzia, che io chiamerei piuttosto sete di “vita intensa, felicità a momenti e futuro incerto”, come nei versi di un pezzo di Tonino Carotone che ama moltissimo. Il brano, Matto come un gatto, diede il titolo a un album di enorme successo. In casa Paoli c’è sempre un gatto o una gatta, due Amanda, una io, chiamata Rina per ricordare la nonna, tanto severa quanto dolce. In casa sua comanda John John, campione mondiale dello struscio sulle gambe degli umani.
Questo è il Gino Paoli che posso raccontarvi io, quel che si suol dire “il privato” di un personaggio pubblico. Il poeta, il cantautore, l’artista potete raccontarlo molto meglio voi, Dillingeriani cari.