Una romana di 42 anni ha vissuto un incubo nella città che dovrebbe essere “caput mundi”. Racconta: «Dopo aver trascorso una serata con le amiche, stavo andando a piedi alla Stazione Termini per prendere il bus che mi avrebbe riportata a casa quando ho sentito una persona bloccarmi da dietro. Con un braccio mi ha stretta a sé e mi ha portata nel sottopasso».
L’orco è un marocchino 39enne senza fissa dimora con diversi precedenti penali, il luogo un sottopassaggio di piazza della Croce Rossa, non lontano da Porta Pia. Ora è in carcere con fermo convalidato dal gip. L’orrore in cui ha trascinato la donna fa impallidire: «Ho visto l’inferno: era tutto buio. Ero a terra e sentivo che sotto di me c’erano alcune coperte e dei piumini. Era tutto nero».
«Poco dopo però lui ha acceso la torcia del cellulare e in quel momento ho visto cumuli di immondizia e oggetti abbandonati ovunque. Forse l’aveva accesa per vedermi meglio, non lo so. È stato tutto così traumatico che non so dire nemmeno quanto tempo abbia trascorso in quel posto terribile. Circa un’ora credo, che però è sembrata un’eternità». Lei ha il volto tumefatto: «Sono sollevata nel sapere che è in carcere perché nessun’altra deve subire l’atrocità che ho vissuto: un’ora al buio, nell’inferno del mio aguzzino».
«Ha abusato di me senza che io riuscissi a reagire. Ero immobile, incapace di fare qualsiasi cosa. Mi sentivo impotente e temevo che se avessi reagito lui avrebbe potuto farmi del male». Con la paura di morire: «Nel sottopasso ho intravisto bottiglie di vetro, forchette e coltelli. Ho pensato che se io avessi provato a fuggire lui avrebbe potuto ammazzarmi. È stato orribile: mentre abusava di me continuava a dirmi cose irripetibili».
Ha tentato di chiedere aiuto: «Gridavo con tutta la voce che avevo, ma non mi sentiva nessuno perché il sottopassaggio è abbandonato. La cosa che infatti mi fa molto arrabbiare è che quel posto lì, come molti altri sottopassi di Roma, è inutile e pericoloso».
Sottopassaggi da chiudere
Sottopassaggi come quello, denuncia, «non vengono usati da anni. Quindi non servono per attraversare e vengono solo usati da sbandati e malintenzionati che ci vivono e ci fanno cose come quella successa a me. Dovrebbero chiuderli per fare in modo che non possa più entrarci nessuno oppure riqualificarli. Così sono solo un pericolo. È assurdo pensare che a Roma ci siano terre di nessuno dove chiunque può sentirsi libero di fare quello che vuole».
Lei ha approfittato di un momento di distrazione del marocchino per scappare: «Mentre si rivestiva, ho recuperato i miei abiti e ho iniziato a correre a più non posso». Non ha potuto chiamare il 112: «Non avevo più il cellulare, come nemmeno il mio portafoglio e l’orologio. Non so bene se sia stato lui a rubarmi tutto oppure se io li abbia persi durante la violenza. So solo che mi sono trovata in strada senza poter telefonare a nessuno».
“L’indifferenza della gente”
A quel punto «stava albeggiando, in strada iniziava a esserci un po’ di gente. Io gridavo e provavo a bloccare le auto che passavano, ma nulla. Nessuno mi aiutava. Forse pensavano che fossi una malintenzionata visto che ero sporca, con il trucco colato e i vestiti sgualciti. Ma è comunque assurdo non aiutare una donna. L’indifferenza della gente mi ha fatto davvero male».
Ci sono voluti venti interminabili e vergognosi minuti per una città “civile”: «Per fortuna si è fermata una signora che stava andando al lavoro. È stata lei a chiamare il 112. Dopo aver raccontato alla polizia cosa era accaduto, sono stata portata al Policlinico Umberto I per essere visitata e curata. Ero ancora in ospedale quando è tornata la polizia con la foto segnaletica dell’aggressore per chiedermi se fosse lui. Io ho confermato».